Gli ospedali a Napoli al tempo del Borbone (Parte terza)
Strutture sanitarie di enti assistenziali e di beneficenza
Degli Ospedali militari ed degli Ospedali civili ci siamo già occupati in due precedenti articoli. Oltre questi tipi di ospedali in città operavano anche una miriade di strutture sia laiche che religiose e di enti di assistenza sanitaria e di Pubblica Beneficenza. In quest’articolo ci occuperemo di quelli più significativi: La Real Casa Santa Dell’ Annunziata, Il Real Ospizio di San Pietro e Gennaro extra moenia e dal 1859 L’Ospedale del Sovrano Ordine di Malta.
Real Casa Santa dell’ Annunziata
“Eccoci a descrivere il monumento massimo della pietà de’ Napolitani, monumento che tanto onora la nostra Metropoli, e che per santità di origine, per vetustità di fondazione, per magnificenza di edifizii , per larghezze profuse da Papi e da Monarchi e per bontà di amministrazione e d’interna disciplina non ha uguale in italia, e che buon ben stare a fronte di ogni altro consimile stabilimento del resto d’Europa. Affinché queste non sembrino esagerate parole , ci è d’uopo, e con animo franco e sincero , sulla fede di infiniti storici documenti, riandarne, colla maggiore possibile brevità, l’origine, la fondazione, il progresso e lo stato in che presentemente si trova “(da Notizie del bello dell’antico e del curioso della città di Napoli di Carlo Celano con aggiunzioni e note del cav. Giovanni Battista Chiarini ed. del 1858)
Da (Napoli antica e moderna ed. 1815) di Domenico Romanelli leggiamo:
“L‘ospedale della Annunziata sorgeva “L’antico suo sito era appellato il mal passo ,dove oggi giace la chiesa(..) si commettevano i più atroci delitti(..) Quale sia la nobile istituzione di questo pio luogo si legge nei seguenti due bellissimi distici incisi sopra la porta:”
” LAC PUERIS; DOTEM INNUPTIS; VELUMQUE PUDICIS
DATAQUE MEDELAM AEGRIS HAEC OPULENTA DOMUS “
” HINC MERITO SACRA EST ILLI, QUAE NUPTA,
PUDICA ET LACTANS, ORBIS VERA MEDELA FUIT “
In questa ricca casa fu donato il latte ai bambini, la dote alle nubili il velo alle pudiche vergini, la medicina ai malati”
fu la vera medicina del mondo, la sposa il lattante e la novizia che da qui è meritatamente sacra
Erasmo Pistolesi nella sua guida di Napoli ritiene che questi versi sarebbero attribuibili a Jacopo Sannazaro. Mentre Lorenzo Giustiniani nel suo dizionario geografico ragionato (ed.1802) afferma che sono del Guicciardini.
Cenni storici
Nei secoli scorsi gli storici basandosi sulla guida del Celano commentata dal Chiarini ritenevano che l’ospedale avesse avuto origine nei primi anni del 1300. In quel tempo Giacomo Galiota regalò un terreno detto del” mal passo “a due gentiluomini napoletani Nicolò e Davide Scondito. Si raccontava che questi due cavalieri fossero stati fatti prigionieri in Toscana durante la battaglia di Montecatini e che avrebbero fatto voto alla Madonna all’Annunziata che se si fossero riusciti a salvare e tornare a Napoli avrebbero edificato un tempio e un ospedale in suo onore. Infatti si narra che tornati a Napoli coinvolsero in questa loro pia opera diversi nobili e dignitari di corte. Qualche secolo dopo Giovan Battista D’ Addosio (segretario generale e archivista dell’ Annunziata alla fine dell’800) riscontra delle incongruenze in questa versione in quanto i fratelli Scondito avevano partecipato alla battaglia di Montecatini contro i ghibellini toscani nel 1316 dove vennero fatti prigionieri e incarcerati per sette anni. Per cui la fondazione non poteva essere attribuita a loro in quanto in quell’ epoca l’ospedale era già esistente. Sicuramente questi due cavalieri si occuparono in epoca successiva, del suo ampliamento e della sua amministrazione. La regina Sancia, moglie piissima di Roberto d’Angiò. nel 1324 acquista, dalla congrega di nobili che lo gestivano, l’ospedale per cinquemila once d’oro. Lo rinnova e nel contempo riedifica anche la chiesa che denominò della Maddalena. Negli anni seguenti sovrani e nobili facevano a gara per finanziare questa opera pia. Nel 1433 Giovanna I l’ingrandisce ancora di più. Margherita di Durazzo nel 1411 dona alla casa santa l’intera città di Lesina con tutte le sue rendite – “Molte nobili famiglie napolitane colmarono di tempo in tempo di ricchi doni il sacro ospizio; talchè si videro due ospedali uno accanto all’ altro, uno per gli ammalati di ogni sorta, e l’altro per i feriti, balie chiamate in gran numero per i pargoli che di giorno in giorno si raccoglievano ed un monastero per educare le giovinette dell’ opera, le quali giunte ad età adulta, venivano dal luogo generosamente dotate. I maschi erano ammaestrati in qualche arte o mestiere” – (Vincenzo Corsi-Principali edifici della città di Napoli 1850). L’amministrazione del nosocomio è stata autonoma dalle origini fino al 1339, in seguito fu affidata ad una congrega di nobili detta dei “Ripentiti“-. Successivamente venne affidata ad un collegio formato da un Cavaliere del seggio Capuano e da alcuni governatori di famiglie popolane. Questo tipo di gestione fu in essere fino al 1809 quando durante il decennio francese tutti gli enti assistenziali furono riuniti in un’unica amministrazione.
La dismissione dell’ospedale
Durante questo decennio L’ospedale fu dismesso e gli ammalati trasferiti ai Pellegrini e la pia casa è adibita esclusivamente a brefotrofio. Nel 1815 con la restaurazione borbonica il Sovrano volle che tutte le amministrazioni degli ospizi di beneficenza si separassero e diventassero di nuovo autonome.
L’uso della ruota
Il sistema della ruota era stato introdotto agli inizi del 16oo e in quell’ anno accolse circa 500 neonati abbandonati. Negli anni successivi gli abbandoni andarono sempre a crescere con una media di circa 2000 neonati all’ anno toccando anche una punte di 4676 “esposti” nel 1764 in seguito ad una grave carestia. Nel XIX secolo il numero degli esposti diminuisce notevolmente e si stabilizza su circa 500 all’anno. In questo periodo il Sovrano per i solo accoglimento dei “figli di nessuno” destina al brefotofio 63.000 ducati. In questo contesto si ristruttura il sistema della “ruota” con cui in maniera autonoma e discreta venivano abbondonati i neonati, curati e assistiti dal pio istituto che provvedeva al loro sostentamento. Le donne erano assistite fino alla maggiore età e si forniva loro un educazione o una dote per indirizzarle o al matrimonio o alla vita monacale. Mentre i maschi all’ età di sette anni venivano indirizzati all’ albergo dei poveri ove veniva insegnato loro un mestiere. Negli anni successivi il sovrano aumentò la sovvenzione a 79.000 ducati e all’ interno dell’ospizio fu creata una sezione per le “educande più turbolente ” che fu denominato “alunnato”. Così a metà ‘800 la struttura era divisa in tre sezioni : La ruota, il conservatorio (monastero) e l’alunnato.
La Ruota
Secondo la tradizione, la Ruota dell’Annunziata di Napoli ha avuto , dalla sua origine e fino alla sua soppressione 1875 un significato particolare rispetto alle ruote degli altri istituti simili; simbolicamente rappresenta una forma di iniziazione, una specie di fonte battesimale che dichiarava “figli della Madonna” i piccoli immessi . Questi esposti ” figli di Ave Grazia Piena” – avrebbero goduto di vantaggi e usufruito di privilegi non concessi ai “proietti” accolti nello stesso ospizio ma non entrati per la Ruota, perché solo la Ruota era ritenuta capace di dare al piccolo immesso «l’imprimatur» di «figlio della Madonna». La sezione della ruota era formata da un gruppo di nutrici che si occupava esclusivamente dei bambini poppanti e svezzati. Nei locali, dove materialmente era situata la ruota in cui si introducevano i neonati abbandonati, erano sempre in servizio giorno e notte dieci balie e una donna addetta al funzionamento della ruota “La rotara“(vi era una campanella che l’allertava ad ogni introduzione). I bambini da abbandonare erano introdotti dalla strada in maniera assolutamente autonoma e anonima. Sul foro d’introduzione vi era una scritta “O padre o madre che qui ne portate, alle vostre elemosine siamo raccomandati ” I neonati venivano subito registrati e veniva annotato tutto ciò che avevano con se in modo che in caso di pentimento dei genitori potessero riconoscerlo. In genere ogni neonato era accompagnato da una “cartula” un bigliettino in cui si fornivano eventuali informazioni. L’unica cosa che era richiesta a chi introduceva il bambino nella ruota era sapere se fosse o meno battezzato in modo da provvedere subito alla somministrazione del sacramento. Una volta registrati ai bambini veniva attaccata una medaglia di piombo con i dati dell’abbandono e venivano rivestiti con pannolini e fasce dell’ospizio e dati subito ad allevare. Alla registrazione veniva dato il cognome “Esposito”. In un primo momento i neonati erano allattati solo da balie interne all’ ospizio ma nel 1834 i neonati trovatelli erano arrivate a un numero che variava da 500 alle 600 unità per cui si dovette fare ricorso a balie esterne molte delle quali si prestavano gratuitamente allo svezzamento di questi poveri sfortunati. Nel gennaio del 1839 un violento incendio distrusse gran parte dell’ospizio per il cui ripristino occorrevano 10.000 ducati che furono presi dai 15.000 dati “dalla clemente provvidenza dell’ Augusto Sovrano, attualmente regnante , a quel luogo per essere impiegati per mercede alle balie esterne”. A tutela e all’insegnamento delle giovani ricoverate nel pio istituto erano addette le suore della carità che “ammaestravano” le fanciulle al ricamo, alla tessitura, a cucire abiti per loro e per i trovatelli della ruota. Molte di queste fanciulle prendevano i voti per dedicarsi alla vita del convento. Nella seconda metà dell’ 800 la ruota ritenuta una usanza non consona ai tempi moderni fu chiusa ma l’orfanatrofio continuò ad essere in atto fino al 1980 quando venuti meno la funzione sociale e il numero di assistiti fu chiuso e le strutture furono passate al comune.
La Chiesa
La chiesa edificata dalla regina Sancia era stata ricostruita nel 1540 su disegno del Manlio ed arricchita da preziosi dipinti del Santafede, del Corenzio, del Massimo, del Lanfranco, del Giordano e di sculture del Bernini, intagli del Merliani e sculture di Giovanni da Nola. Queste opere andarono quasi tutte irrimediabilmente perdute durante l’incendio del 1759 tranne quelle contenute nella sagrestia e la stanza del tesoro che miracolosamente scamparono all’ incendio. Per volontà del sovrano la chiesa fu riedificata nel 1782 su progetto di Luigi Vanvitelli e divenne da allora una delle più maestose ed eleganti Basiliche di Napoli con una cupola di eccezionale ardimento e opere pittoriche di Francesco De Mura, affreschi in chiaroscuro del Fischietti, sculture di Domenico D’Auria .
Real Ospizio di SS. Pietro e Gennaro extra moenia
La storia
In antiche cave sotto l’ antico colle detto la “Penninata ” a Capodimonte vi sono le antiche catacombe di San Gennaro, luogo pieno di storia e devozione popolare di antichi racconti di miti pagani. Una zona piena di sepolcri e cimiteri dove si riunivano le prime comunità cristiane. In quel luogo sorsero le prime chiese paleocristiane. In questi luoghi tanto cari a San Gennaro e ai devoti cristiani napoletani venne edificata dal Santo vescovo Attanasio (figlio del Duca Sergio I) una nuova basilica e un convento dedicato a SS. Gennaro e Agrippino. Le strutture furono affidate alla cura di monaci benedettini dipendenti da “Juris sanctae Eclesiae Neapolitane”. Il convento fu ingrandito nel 1282 e qualche anno dopo nel 1291 ci aggregarono un ospedale per volontà dell’arcivescovo Oliviero Carafa .
” tosto si adoperò a creare una Congrega mista di nobili e plebei che potesse governarlo ”
La gestione di questo ospedale fu affidata ai Cavalieri Templari degli Ospedali di Capua e di Sant’Eligio. Dal 1308 parteciparono alla gestione del nosocomio anche la confraternita laica dei nobili e artigiani di Napoli. L’ospedale era chiamato Ospizio dei Poveri dei SS Pietro e Gennaro, le cui statue, opere di Cosimo Fanzago, erano esposte sulla facciata all’esterno dell’ edificio. In seguito ad una disputa legale tra i monaci benedettini e la confraternita laica di San Gennaro, Papa Sisto IV nel 1474 in seguito a questo conflitto di competenza, assegnò alla confraternita laica sia il convento che l’ospedale ospizio. Così i monaci furono esautorati dal convento che era stato loro per cinque secoli. La gestione fu affidata a una congrega formata da rappresentati del popolo retta da quattro maestri delle piazze del popolo: di Capuana, di Santa Maria a piazza, di san Giovanni a mare e del Mercato. Un lustro appena era trascorso dalla pia fondazione dell’ ospedale di San Gennaro ad foris quando la città di Napoli fu colpita dal flagello della la peste.
La peste del 1516
Nel 1516 il San Gennaro dei Poveri accolse i malati di quel terribile morbo. In seguito il nosocomio venne abolito per favorire il nuovo ospedale napoletano degli Incurabili fondato dalla Maria Lorenza Longo. Durante l’epidemia di peste Il Re Ferrante I d’Aragona con la sua corte si rifugiò a Torre del Greco, quasi tutta la città “sfrattò fuori” come scrissero alcuni scrittori del tempo. La scelta di quel luogo per curare la peste , più che per la logistica, fu dettata dalla speranza, poiché la Sanità era una zona particolarmente salubre, considerata luogo di guarigioni miracolose, grazie all’aria incontaminata e alla presenza delle tombe dei Santi. L’ospedale che si trovava fuori le mura accolse i poveri contagiati e le catacombe racchiusero i corpi dei miseri estinti.
L’eruzione del Vesuvio
Il 16 novembre del 1631 ci fu una terribile e disastrosa eruzione del Vesuvio. Colonne nere di fumo e cenere che arrivarono oltre 15 km di altezza, terribili terremoti e una massa di lava incandescente colava minacciosa dalle pendici . I napoletani temettero il peggio per la città e le ceneri sprigionate dal vulcano arrivarono fino in Sicilia. Ma l’intercessione del santo calmò l’eruzione e per ringraziamento ci fu una grande processione alla basilica di San Gennaro extra moenia per ringraziare il santo. Pochi anni dopo la terribile eruzione un altro grande flagello si abbatté sul popolo napoletano.
La terribile peste del 1656
Scriveva il Celano:”Il nostro ospedale di San Gennaro fu il primo a ricoverare i contagiati, ma ben presto ne fu ricolmo e si stabilirono, per accoglierne in numero sempre crescente, diversi altri lazzaretti.
“Colmate di estinti le catacombe, la gran fossa delle pigne, le grotte degli Sportiglioni che si aprivano sotto il monte di Lautrech (dove poi sorse Santa Maria del Pianto) non vi fu dove seppellire i morti, e i morti chi li seppellisse”.
Negli anni seguenti il nosocomio fu fatto ampliare dal viceré don Pietro d’Aragona. “Ed ecco che le antiche mura di Sant’Attanasio, che nel medio evo furono monastero dei benedettini, poi nel 1468, ospedale per i poverelli, alcun tempo dopo quartiere delle milizie spagnole, due secoli più tardi lazzaretto di appestati, farsi per ultima trasformazione e quali oggi le vediamo, asilo di donne, ritiro di orfani ed ospizi dei vecchi detto di San Gennaro di poveri” e da allora cosi è stato per tutto il regno borbonico solo che al nome dell’ ospizio fu aggiunto anche il nome di san Pietro.
La trasformazione borbonica
Nel 1735 con Carlo di Borbone l’ospizio venne designato come Real Ospedale di San Gennaro e San Pietro dei Poveri. Beneficiò di numerose elargizioni da parte dei nobili e in particolare della regina Maria Amalia di Sassonia. L’amministrazione venne regolata ex novo da una commissione municipale. I collegamenti viari all’ospedale vennero migliorati con la costruzione di largo Mercatello poi piazza Carlo III nel 1765 e quindi via Foria nel 1768. Dal 1752 i giovani indigenti d’ambo i sessi vennero trasferiti dal San Gennaro di Capodimonte al Real Albergo dei Poveri. Nel 1735 alcuni giovani e bambini furono dirottati anche al nuovo ospedale di San Vincenzo Ferreri (‘O Munacone venerato da sempre al Rione Sanità).
Il decennio francese
Durante il periodo francese la gestione dell’ ospizio passò come ogni altra opera pia del napoletano ad essere amministrata dalla ” Commissione o Giunta ” di carità che operò un buon rilancio del pio istituto e che lo unificò ad un altro pio istituto, quello di Sant’Onofrio dei vecchi nella zona del porto. Gli ospiti del Sant’Onofrio venivano ingaggiati per partecipare ai funerali di persone importati. Organizzavano cortei funebri con le insegne di Sant’ Onofrio e per questi servigi ricevevano molti compensi. Con l’unificazione anche gli ospiti del San Gennaro poterono usufruire di queste entrate infatti anche loro venivano impiegati a pagamento nei cortei funebri privati e pubblici vestiti a lutto con la bandiera ospedaliera Nel 1809 con il regio decreto di Gioacchino Murat, al San Gennaro di Capodimonte venivano accolti solo gli anziani poveri d’ambo i sessi, specie se disabili . Al ricovero per anziani fu assegnata una rendita di 4500 ducati che fu aumentata di altri mille derivanti dalle rendite di altri monasteri soppressi. L’anno successivo le fanciulle furono sistemate nel Real ritiro ed educandato di Santa Maria Regina Paradiso e Sant‘Antonio da Padova , fondato dal sacerdote napoletano Antonio Iannone .
La restaurazione borbonica
Con la restaurazione borbonica l’ospizio riebbe la sua amministrazione autonoma sebbene fosse alle dipendenze assolute del Ministero dell’ Interno. Le rendite per le fanciulle povere vennero aumentate con un contributo sulle giocate del lotto. Nel 1818 per aumentare i proventi per la gestione fu introdotto “il tessuto, il cucito, il filato e altresì il leggere e lo scrivere” inoltre si eseguivano anche piccoli ricami in oro e argento. Ma le sorti di queste attività variavano o venivano sospese secondo le gestioni dei vari governatori. Nel 1824 vennero abolite le maestre di trine e si istituirono quelle delle frange. Nel 1825 prese voga la lavorazione dei nastri. Tutti questi repentini cambi di attività portarono solo a confusioni e approssimazione dei lavori per cui l’amministrazione dell’ ospizio si barcamena con alti e bassi fino al 1860.
L’unificazione e il declino del nosocomio
Lo stato unitario privò il pio istituto di ogni sussidio statale e da quel momento i gestori dell’ opera pia per il sostentamento dell’ ospizio dovettero contare esclusivamente dai proventi derivanti dalla partecipazione ai cortei funebri. Nel 1864 fu affidato all’ architetto Gaetano Fazzini il progetto di un restauro definitivo della chiesa di S. Gennaro dei Poveri . Il progetto si limitava al solo intervento sulle strutture che presentavano gravi problemi di stabilità. Dal restauro emersero le forme di una basilica in stile bizantino. In seguito la chiesa subisce numerose trasformazioni: nel XVII° secolo fu aggiornata alle tendenze del barocco, verso la fine dell’Ottocento, la volta fu sostituita con un soffitto a capriate, fino al restauro dei primi del Novecento, in cui si provò a riportarla alle sue forme originarie.
Dal IXX° ad’ oggi
Tra il 1927 ed il 1932 fu realizzato un restauro che cancellò le stratificazioni secolari e riportò la struttura alle forme originarie. San Gennaro Extra Moenia, oggi, si presenta come una enorme testimonianza delle epoche che ha attraversato: conserva l’impianto paleocristiano originario a tre navate con abside semicircolare e colonne di spoglio che reggono l’arco trionfale, con arcate in stile durazzesco-catalano, mentre l’atrio è rinascimentale, con affreschi attribuiti ad Agostino Tesauro. Con passare degli anni andò in disuso l’ usanza di far partecipare gli ospiti del ospizio ai funerali . La mancanza di queste entrate portò alla chiusura dell’ ospizio per i poveri e diseredati.
Dopo la I guerra mondiale venne utilizzato per l’assistenza ai cranio-traumatizzati . Dopo il II conflitto mondiale, diventò uno dei più importanti poli ospedalieri napoletani, conosciuto come “Ospedale Gustavo Morvillo”. Nel 1956 al suo interno venne inaugurato il Pronto Soccorso Psichiatrico, seconda struttura specialistica nazionale dopo la Neurodeliri di Milano. Nel 1965 nell’Ospedale – che intanto aveva ripreso il nome originario di “San Gennaro dei Poveri” – venne istituito il Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche, con ben 3 Divisioni di Neurologia, un Reparto di Neurochirurgia, un Servizio di Neurofisiologia, uno di Neuroradiologia ed un Pronto Soccorso Psichiatrico, che si affiancavano agli altri reparti specialistici. Fino al 1978, anno della Legge 180, cosiddetta Basaglia, che riformava l’assistenza ospedaliera e territoriale per gli ammalati psichici, il San Gennaro fu centro di riferimento regionale per la neuro-psichiatria, proponendosi come unica alternativa ai vecchi manicomi. La struttura riprese la sua funzione ospedaliara ,la chiesa fu chiusa e diventò un deposito dell’ ospedale fino al 2009 quando fu rivalorizzata insieme alle catacombe di San Gennaro, diventate un polo di attrazione turistica grazie al lavoro della cooperativa della paranza voluta dal parroco di Santa Maria della Sanità Don Antonio Loffredo. Fino a pochi anni fa l’ospedale aveva ancora numerosi reparti che sono stati chiusi per un piano di ristrutturazione ospedaliera voluta dalla Regione Campania che prevedeva accorpamenti col nuovo ospedale del mare. Nonostante numerose e vivaci proteste la struttura ospedaliera fu smantellata e rimasero solo pochi ambulatori. Con l’emergenza covid si è ripresentata l’opportunità di far riaprire i reparti ospedalieri e i comitati di quartiere sono in lotta per far restituire al rione sanità la sua antica struttura affinché lo storico ospedale rappresenti un polo sanitario di eccellenza e un presidio di legalità sul territorio.
La chiesa
Ospedale del Sovrano Ordine di Malta
Le origini
L’ Ordine gerosolimitano, l’ordine militare e religioso di S. Giovanni di Gerusalemme, detto poi dei Cavalieri di Rodi e poi dei Cavalieri di Malta ha origini risalenti alla prima crociata. Questa ordine aveva sedi e proprietà in diverse città europee dove espletava attività benefiche, specie di assistenza sanitaria alle persone meno abbienti. Molte di queste loro sedi si trovavano in Italia meridionale. I nobili e Sovrani finanziavano e supportavano l’ordine in questa sua missione. Il priorato ha goduto di stima e potere per molti secoli sino al 1806. In quella data beni del gran priorato di Napoli, così come quelli di Capua e Barletta , furono confiscati da Giocchino Murat. In questo contesto la sede del priorato viene trasferita da Napoli a Messina nel regno di Sicilia ancora sotto la sovranità Borbonica dove il re Ferdinando IV di Borbone si era rifugiato con tutta la corte dopo l’invasione del regno di Napoli dell’ esercito francese.
La perdita del Regno di Napoli
Nel 1811, anche Re Ferdinando ordina di confiscare tutti i beni dei cavalieri dell’ ordine di Malta e le loro proprietà fondiarie del regno di Sicilia. Il Sovrano riteneva i cavalieri responsabili della capitolazione dell’ isola di Malta che allora apparteneva alla corona di Sicilia. Da allora fino al 1839 nonostante fosse un ordine molto caro al sovrano , prima nel regno di Sicilia e poi dal 1815 nel regno delle due Sicilie i cavalieri di questo ordine non poterono espletare la loro opera né possedere beni nel regno borbonico. Dopo la sconfitta di Napoleone le potenze europee nel congresso di Vienna avevano stabilito il nuovo assetto territoriale che portò alla restaurazione dei vecchi confini infatti fu deciso di creare un unico regno denominato Regno delle due Sicilie che comprendeva appunto il Regno di Napoli e quello di Sicilia. In questo nuovo regno si insedia il nuovo “Gran Priorato di Napoli e Sicilia” dell’ ordine. Questa ricostituzione si rivela solo formale, in quanto l’ordine non poteva operare per mancanza di rendite e beni. Solo dopo il 1839 Ferdinando II concederà ai cavalieri gli antichi privilegi e rendite per cui da quell’anno il priorato riprende le sue opere assistenziali a Napoli.
La storia
Nel 1798 Napoleone nel corso della Campagna di Egitto occupò l’isola di Malta, su cui l’Ordine cavalleresco governava dal 1530 con diritti feudali concessi dal Regno di Sicilia I cavalieri ospitalieri, secondo la loro legge che proibiva di usare le armi contro altri cristiani, non opposero resistenza, anzi cedettero la sovranità dell’ isola ai francesi pur evidenziando che la sovranità effettiva appartenesse al Regno di Sicilia dal quale loro lo avevano avuto in feudo. I francesi tennero Malta solo due anni; il 4 settembre 1800 il presidio francese s’arrese al generale Pigot , comandante delle truppe inglesi che, insieme con i maltesi insorti, avevano scacciato i francesi dall’ isola.. I Borbone avevano reali motivi per nutrire nei confronti dell’Ordine risentimento, attribuendo alla negligenza dei cavalieri giovanniti la perdita di Malta, che era incardinata alla loro corona.
La ricostituzione
Solo dopo molti anni nel 1839 il Borbone accettò che il priorato fosse di nuovo operativo sebbene alla restaurazione del regno nel 1816 l’ordine fosse stato ricostituito . Il re Borbone per riacquistare il Regno di Napoli dovette Rinunciare a Malta in favore dell’Inghilterra. Re Ferdinando paga a caro prezzo il suo reintegro sul trono di Napoli Si ricordano le parole del Re per giustificare la sofferta perdita pronunciate a Vienna “… il punto dei miei diritti di sovranità su Malta deve cedere all’interesse maggiore, di cui oggi si tratta, qual è quello di riavere il mio Regno di Napoli”.
Restauro e costruzione dell’ ospedale.
Nel 1845 fu concesso ai cavalieri Gerosolimani per farne un ospedale nella strada di San Giuseppe dei nudi , l’ex convento di clausura femminile fondato nel 1634 espropriato nel 1806 alle suore francescane .La costituzione del nuovo gran priorato delle Due Sicilie destò grande interesse nella nobiltà del Regno, che si manifestò con la fondazione di nuove commende di giuspatronato. Il decreto di ripristino dell’Ordine prevedeva l’elargizione di 4.000 ducati per il restauro della chiesa e i lavori necessari per l’apertura dell’ospedale. Dopo molte diverse difficoltà, la struttura fu inaugurata nel 1859 e durante la guerra civile che portò all’annessione del regno delle Due Sicilie a quello piemontese, coerentemente con le antiche tradizioni ospedaliere dell’Ordine, vi furono ricoverati sia i soldati borbonici sia i volontari garibaldini. Ancora oggi in questo antico convento vi sono un ambulatorio medico e la sede del priorato dell’ ordine di Malta.
La chiesa dell’Priorato dell’ Ordine di Malta dedicata ai SS Bernardino e Margherita
Dello stesso autore :
Ospedali a Napoli al tempo dei Borbone :
Parte prima Ospedali militari
Parte seconda Ospedali civili
Fonti Bibliografiche :
Nicolò Carletti ” Topografia Universale della città di Napoli in Campagna felice” – Copia anastatica del 1776.
Giuseppe Sigismondo : “Descrizione della città di Napoli e i suoi borghi” – copia anastatica del 1788 Arnoldo Forni Editore 1989
Vincenzo Corsi: “Principali edifici della città di Napoli 1850 “
Salvatore De Renzi: “Osservazioni sulla topografia medica del regno di Napoli” 1838
Erasmo Pistolesi: “Guida metodica di Napoli e i suoi contorni”– Copia anastatica del 1845
Teresa Filangieri Ravaschieri Fieschi : “Storia della carità Napoletana”- Morano 1879
Gennaro Aspreno Galante: “Guida Sacra alla Città di Napoli” – A cura di Nicola spinosa – Società Editrice Napoletana 1985
Carlo Celano: “Notizie del bello e dell’antico e del curioso della città di Napoli “curata da G.B.Chiarini – copia anastatica dell’ edizione del 1856- Ed, Dell’ anticaglia 2000
Autori vari : “Napoli Sacra Guida alle Chiese della Città” – Elio De Rosa Editore 1996
Giuseppe Maria Galanti : “Nuova guida per Napoli e suoi contorni “- Copia anastatica del 1845 di Arnoldo Forni Editore 1990 .
Ida Maietta e Angelo Vanacore: “L’Annuziata (Chiesa e Santa Casa)” – Ed Eidos sas 1997
Candida Carrino: “Andar per Monasteri” – Ed .Intra Moenia- 2014
Giovanna Molin “Modalità dell’ abbandono e caratteristiche degli esposti a Napoli nel Seicento – 1991 Pubblicazione scuola francese di Roma
Vincenzo de Pasquale : “Quando i malati erano incurabili…”– Ed Stamperia del Valentino 2014
Antonio Emanuele Piedimonte : “Alchimia e medicina a Napoli”– Ed. Intra Moenia 2014