Tra il campanile di San Lorenzo Maggiore e la facciata della chiesa c’è un grande riquadro con otto stemmi posti al di sotto di una corona reale. Il simbolo più grande rispetto agli altri, rappresenta il Comune di Napoli, mentre gli altri rappresentano i “Sedili” o “Seggi” napoletani, ossia le istituzioni amministrative, i cui rappresentanti, chiamati Eletti, tra il XIII e il XIX secolo, si riunivano nel convento di San Lorenzo per prendere le decisioni inerenti alla città.

Sedili della città di Napoli

Ma c’è una leggenda in particolare che riguarda lo stemma di destra nella fila centrale, con una figura umana in posizione eretta che ha tra le mani un’arma bianca. Quello stemma rappresenta il simbolo di “Sedile di Porto” ed è posto ancora sul palazzo ad angolo con via Mezzocannone. Per gli studiosi lo stemma si ricollega al mito di Orione, il gigante figlio di Nettuno esperto nella lavorazione dei metalli e protettore dei naviganti, ma la voce del popolo racconta un’altra storia: la leggenda nota in tutto il regno delle due Sicilie, quella del “pesce Niccolò”.

Anche Benedetto Croce in “Storie e leggende napoletane” racconta la leggenda di Niccolò Pesce, un ragazzo che amava stare sempre in mare, tant’è che sua madre, un giorno, molto arrabbiata lo maledisse dicendo che «potesse diventar pesce»; e da allora Niccolò iniziò a vivere come un pesce, immerso nelle acque, senza bisogno di risalire a galla per respirare.

Secondo la leggenda Niccolò, a furia di stare sempre in mare, diventò molto furbo e per raggiungere luoghi più distanti, si faceva ingoiare dai pesci più grandi e una volta raggiunta la destinazione, con un coltello che aveva sempre con sé, gli apriva la pancia e si liberava. Quando la fama di Niccolò arrivò all’orecchio del re, questi volle subito metterlo alla prova, iniziando a chiedergli di andare a perlustrare il fondo del mare e riferirgli come fosse fatto. Il ragazzo obbedì e iniziò ad eseguire tutte le richieste del re, come quella di discendere nelle grotte di Castel dell’Ovo da cui riportò molte gemme, oppure scoprire come si reggesse l’isola di Sicilia, e Niccolò Pesce gli riferì che poggiava sopra tre enormi colonne, una delle quali era spezzata.

Ma un giorno il re volle spingersi oltre e chiese al ragazzo di andare a recuperare una palla di cannone che sarebbe stata scagliata nel faro di Messina. Niccolò protestò sapendo della difficoltà dell’impresa e che non ne sarebbe tornato vivo, ma nonostante ciò, obbedì al re. Seguì sfrenatamente la palla di cannone, ma quando si voltò e guardò in alto la massa d’acqua era così tanta e immensa, che fu impossibile per lui ritornare. Così morì.

Questa è la versione riportata da Benedetto Croce, ma secondo quella dei siciliani, Niccolò Pesce era un eroe perché, durante la sua impresa, si accorse che la Sicilia stava sprofondando a causa del cedimento di una delle tre colonne che la sostenevano, e per salvarla decise di sostituirsi al sostegno. Per i vecchi pescatori siciliani il giovane Niccolò Pesce è ancora lì in mare a sostenere l’isola.

Chi come me ama il mare, come lo amava Niccolò, non vede solo un’immensa distesa d’acqua, ma un luogo che nasconde nei suoi abissi un mondo di miti, leggende e altro ancora, tutti da scoprire.

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