Non possiamo rimanere inerti dopo aver appreso che in una parte della città avvengono episodi di violenza gratuita.

Da millenni esiste l’essere umano con tutte le sue esperienze positive e negative. Da millenni le classi dominanti hanno cercato in certo qual modo di eliminare, se non contenere, la violenza, anche utilizzando strumenti di tortura, il carcere duro o, negli ultimi tempi, studiando la psiche umana, la sua evoluzione in un contesto sociale che vede l’essere umano e i rapporti con la società che lo circonda al primo posto. Il diffondersi delle scienze socio-penitenziarie, psichiatriche e sociologiche ha evidenziato aspetti anche sconosciuti dello spirito di adattamento dell’uomo nella società e, soprattutto, i suoi rapporti con la società, la natura, con il mondo esterno.

In generale, ma ancora oggi, fenomeni diffusi di violenza gratuita che accadono un po’ in tutto il nostro Paese rischiano di far saltare la tenuta dell’equilibrio sociale e delle istituzioni che da esso promanano e su di esso insistono. Gli ultimi episodi di cronaca avvenuti a Ercolano e in un quartiere napoletano non rispondono, credo, a nessun criterio di equilibrio sociale, anzi evidenziano non solo il lato visibile violento di certi individui, ma qualcosa di più, come ad esempio, il senso di strapotere e appartenenza ad una via, ad una zona cittadina, il senso di invulnerabilità alle evidenti reazioni del resto della società, il senso di certezza di non essere poi puniti per le azioni violente intraprese. Dei due episodi  il secondo, in ordine di tempo, denota tutto questo: il ragazzino che percorre in moto la strada del quartiere dove abita che butta sotto una donna, la reazione del padre rivolta contro un soccorritore della donna, prima con le vie di fatto, poi con l’esplosione di vari colpi di pistola, l’uso della stessa pistola contro un bar di quella zona e contro il suo titolare, con l’unica colpa di aver evidentemente assistito a quell’episodio.

La lettura di quest’ultimo episodio è veramente difficile e non credo possa trovare una spiegazione plausibile. Dietro tutto questo si nasconde evidentemente sia nel ragazzino che nel padre aggressore un senso di onnipotenza, un senso di appartenenza alla strada, alla zona: “qui abito io, posso fare qualunque cosa, anche sparare contro una persona, perché la zona è mia, mi appartiene e sono sempre nel giusto e, quindi, non mi possono fare nulla”.

Incredibile! Ma l’amara verità viene a galla. Come poc’anzi dicevo, non esiste alcuna giustificazione, tranne forse uno studio approfondito sull’episodio, a livello psicologico e sociologico, ma che comunque può avere lo spazio che trova! Sic!

 

Fonte: Quotidiani – Il Mattino – La Repubblica.

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