La drammatica vicenda sanitaria che tutti stiamo vivendo, quella che ormai, annunciata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, è una vera e propria pandemia, ci deve far riflettere su un concetto importante: le malattie infettive nell’era della globalizzazione non possono comunque essere disgiunte dal grave problema dei cambiamenti climatici in atto.

Negli anni ’80 del secolo scorso il biologo Eugene Stoermer ha coniato il termine “Antropocene”, adottato, tra l’altro, dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen nel suo libro “Benvenuti nell’antropocene”.
L’antropocene non è altro che un’epoca geologica dove l’attività umana ha usato gradualmente e sempre più scriteriatamente le risorse della terra per la produzione di cibo, la costruzione degli insediamenti urbani e lo sfruttamento di risorse idriche, minerali ed energetiche (combustibili fossili).
Ormai antropocene e globalizzazione sono due facce della stessa medaglia.

La globalizzazione abbraccia il nostro agire nei campi dell’economia, della scienza, della tecnica, della cultura e, ultimo ma non ultimo, della sanità.
In questo campo la globalizzazione ha avuto un fortissimo impatto sulla diffusione delle malattie infettive e sull’amplificazione di rischi pandemici.
I fattori che maggiormente influiscono e hanno influito sulla diffusione delle malattie infettive sono molteplici. Esaminiamo i più importanti.

Commercio e viaggi internazionali: negli ultimi due secoli la velocità di spostamento sul pianeta è aumentata di circa mille volte. Oggi una persona infetta può compiere il giro del mondo in sole 36 ore.
Nel XVI secolo la peste nera fu la prima malattia globalizzata e colpì tutta l’Europa. Le vittime furono 25-30 milioni su una popolazione complessiva di 80 milioni.
Nel XV secolo aumentarono gli scambi commerciali e i viaggi esplorativi alla scoperta di nuove terre, senza considerare l’incidenza dovuta ai vari focolai di guerra. Nelle nuove terre conquistate si diffusero malattie portate dagli europei come la sifilide, trasmessa nelle Americhe dai marinai di Cristoforo Colombo. La prima epidemia di sifilide conosciuta sembra sia scoppiata a Napoli nel 1495, a seguito della discesa di Carlo VIII, re francese. Fu chiamato per questo “mal francese” o “morbo gallico”. Ma in Francia fu chiamato “Mal napolitain”.

Tifo e tubercolosi percorsero tutto il continente nuovo alla meta del ‘500 e, praticamente in un secolo, provocarono l’estinzione delle civiltà precolombiane.
E così, dal XVII al XIX secolo gli esploratori europei diffusero con “generosità” malattie infettive con conseguenze disastrose. Basti pensare che dopo l’arrivo di James Cook, nel 1778, gli abitanti delle Hawaii, in 80 anni, scesero da 300.000 a 30.000!
Herman Melville, l’autore di Moby Dick, ebbe a dire: “…tre volte felici sono coloro che, abitando qualche isola ignota nel mezzo dell’oceano, non sono stati posti in contatto contaminatore con l’uomo bianco”.

Movimenti demografici e sovraffollamento delle aree urbane: la proiezione alla metà di questo secolo porta la popolazione umana a ben 9 miliardi con un’incidenza della popolazione anziana, nel mondo occidentale, di più del doppio rispetto a quella infantile. Dal 2015 ben 24 aree urbane hanno superato i 10 milioni di abitanti!

Cambiamento degli ecosistemi: il riscaldamento globale e la compromissione degli ecosistemi fanno sì che insetti vettori nocivi proliferino in aree più temperate e si determini una recrudescenza di malattie infettive come leishmaniosi e dengue.

E in gran parte del sud del mondo la malaria è malattia endemica: circa 3 miliardi di persone ne sono esposte con elevato grado di morbilità e mortalità e i 2/3 sono bambini sotto i cinque anni.

Ritornando alla drammatica emergenza sanitaria che oggi ci affligge dobbiamo essere ottimisti, confortati dagli enormi progressi della medicina e della scienza che ci danno la possibilità di affidarci a sistemi diagnostici e di cura tempestivi e risolutivi nella stragrande maggioranza dei casi.
E poi oggi i sistemi di comunicazione sono talmente sviluppati a tutti i livelli che ci informano tempestivamente su come mettere in atto tutti i comportamenti per arginare il più possibile l’onda epidemica.

I nostri antenati, appena un secolo fa, furono molto più sfortunati…
La prima grande pandemia influenzale del 1918-19 fu la “Spagnola”, denominata così, impropriamente, in quanto fu portata in Europa dalle truppe USA che confluirono in Francia per la Grande Guerra. Colpì un miliardo di persone uccidendone 50 milioni. 375mila solo in Italia.
“’O cane mozzeca ‘o stracciato” si dice a Napoli. Non bastarono a quel tempo le centinaia di migliaia di morti che la Grande Guerra aveva provocato tra i civili e i militari in Italia.

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