Immaginatevi alla fine di un lungo trasloco.
Avete lavorato in gruppo e, prima di andarsene, ognuno è stato chiamato ad esprimere quella che è la percentuale di lavoro che ritiene di aver svolto sul totale.
A questo punto, se il gruppo non è composto di marziani, si può essere quasi certi che la somma delle percentuali espresse da ognuno andrà a superare il 100%.
Ciò è quasi normale, considerando che ciascuno di noi ricorda bene solo ciò che gli è accaduto, dimenticando, invece, quello che vede accadere agli altri.
La cosa è, però, evidentemente in contrasto con la natura sociale dell’uomo e ci pone di fronte ad una contraddizione interessante.

Secondo il libro “Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy” di Robert H. Frank, coloro che hanno successo in qualcosa, difficilmente si immedesimano in quelli che, invece, non ce l’hanno fatta.
Causa e conseguenza di ciò è l’alterata percezione che abbiamo del rapporto tra fortuna e sforzo.
Secondo un’abitudine del periodo in cui viviamo, infatti, tendiamo a considerare la nostra azione nel mondo ben più importante di quanto non sia in realtà.
Machiavelli nel “Principe” diceva: “Iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare la metà, o presso, a noi”, una frase che farebbe rabbrividire il “self-made man” dei nostri tempi.

Il fatto è che la fortuna (intesa come situazione materiale in cui il soggetto si trova ad operare) è molto più rilevante di quanto appaia.
Simuliamo un concorso a cui partecipano 1000 persone, ognuno riceve un punteggio casuale da 1 a 100, che rappresenti le sue capacità, a cui si aggiunge un valore da 1 a 10 che rappresenti la fortuna; chi supera i 95 punti vince.
Anche solo così la fortuna risulta determinante per la maggior parte dei vincitori.
Il problema più serio, però, è quello che riguarda le conseguenze di tutto ciò.
Secondo una delle ricerche del libro sopracitato, chi ha successo tende ad entrare in un circolo di autoriconoscimento, che lo porta non soltanto a ritenere di meritare di più, ma anche ad essere meno generoso.
La tendenza di pochi a ritenersi i migliori erode lentamente quelle che sono le possibilità che loro hanno avuto e che gli hanno permesso di arrivare dove sono ora.
Chi è già su un piedistallo non fa che accrescerne le dimensioni, perché i risultati della sua vita siano considerati ancora più importanti e gratificanti.
Questo modo di agire, però, non fa altro che rendere più difficile la vita di chi verrà dopo.

Essere consapevoli di questi meccanismi della mente umana può aiutare a mostrare ed affrontare più chiaramente le contraddizioni nella società in cui viviamo, evitandoci errori che, sul lungo termine, potrebbero costare carissimi.

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