Un gruppo di astronomi dell’Università dell’Arizona, dopo aver passato numerose settimane ad osservare, è riuscito ad individuare quello che sembra essere non solo il quasar più lontano, ma anche il più antico mai avvistato finora da un’apparecchiatura scientifica.

Con al centro un buco nero che risulta, dai dati raccolti, 1,6 miliardi più massiccio del Sole, e circondato da quello che è stato identificato come un disco di accrescimento vorticoso e surriscaldato, il quasar – che gli scienziati hanno ribattezzato J0313-1806 – potrebbe essere davvero antico.

Derivante – almeno è questa la teoria più accreditata – da un buco nero super massiccio che ha divorato la materia circostante – gas e, persino, intere stelle – finendo per dar luogo a un vortice di materia surriscaldata – che viene definito disco di accrescimento, in grado di muoversi intorno al buco nero – J0313-1806 risale a quando il nostro universo aveva solo il cinque per cento della sua età attuale.

Tra le caratteristiche evidenziate dagli studi su di lui, finora è emersa la prova dell’esistenza di un vento in uscita di gas surriscaldati che sembrano risultare, come potenza, un quinto della velocità della luce, insieme a un’intensa attività di formazione stellare nelle enormi galassie di quello che un tempo era l’universo primordiale.

Ma, a differenziarlo da un normale buco nero super massiccio, il fatto che il suo peso è il doppio di quello degli altri – cosa che gli permette di influenzare la galassia che lo ospita – e che sembra rendere differente l’ipotesi che, quando una stella si trasforma in una supernova alla fine della sua vita, finisca per collassare in un buco nero che, fondendosi nel tempo, può evolversi in buchi neri super massicci.

Il suo studio, se verrà portato avanti in maniera corretta, potrà offrire uno sguardo non solo unico, ma davvero rarissimo sulla vita di una galassia quando l’universo era da poco nato, quando grandi quantità di gas idrogeno freddo primordiale fungeva da materia prima per la formazione delle stelle.

 

Fonte articolo: Astrophysical Journal Letters

Fonte foto: quantamagazine.org

Articolo precedentePrima espulsione per Messi nel Barcellona
Articolo successivoLa Grande Muraglia Verde – gli alberi che salveranno l’Africa