Sulla rivista Science Immunology, qualche giorno fa, sono stati illustrati due lavori scientifici basati sulle analisi dei campioni di oltre quarantamila soggetti provenienti da sette continenti, che hanno permesso di poter identificare un particolare gruppo di “autoanticorpi”, che sembrano in grado di determinare un decorso molto più severo del COVID-19.

Questi cosiddetti “autoanticorpi” si sono rivelati in grado di poter neutralizzare gli interferoni di tipo I, che sono riconosciuti come molecole importanti della risposta immunitaria del fisico umano, tra cui anche quella che viene provocata dall’infezione da SARS-CoV-2 e, nella popolazione la prevalenza degli autoanticorpi anti-interferoni di tipo I presenti nel sangue può raddoppiare dopo i sessantacinque anni e, purtroppo,  circa il 20% di tutti i casi fatali di Covid-19 finora riscontrati possono essere associati alla presenza di questi autoanticorpi.

Al momento, tre grandi istituti di ricerca del calibro del National Institute of Health (NIH) di Washington, la Rockefeller University di New York e l’Università di Parigi, in stretta collaborazione con l’Università di Brescia, quella di Milano-Bicocca, l’Ospedale San Raffaele e il Policlinico San Matteo di Pavia hanno effettuato diversi importanti studi partiti agli inizi della pandemia nei primi mesi del 2020, e che ora dovrebbero dare risultati molto particolari che si spera contribuiscano a neutralizzare gli “autoanticorpi”.

FONTEgrandenapoli.it
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