Ad Usolyekhimprom, in Siberia, è sito un impianto chimico abbandonato nel 2017, i cui serbatoi mai svuotati dai rifiuti petroliferi e dal mercurio in essi contenuti, rischiano di poter scoppiare e finire nel grande fiume siberiano Angara, ripetendo l’agghiacciante disastro ambientale causato dall’incidente nucleare di Chernobyl, avvenuto nell’aprile 1986.

In passato nell’impianto – che oggi versa in uno stato di semi distruzione – venivano prodotti cloro e numerose sostanze chimiche tossiche, i cui resti mai smaltiti sono ora fonte di preoccupazione dei funzionari ambientali, che hanno scoperto questa bomba ambientale, che sembra pronta ad esplodere, causando una vera e propria “Chernobyl ecologica”.

Tra i prodotti trattati ad Usolyekhimprom vi furono cloro, soda caustica, perossido di idrogeno, vernici, smalti, silicio policristallino e altri prodotti, che la fecero prosperare per anni fino all’avvento della perestrojka e della concorrenza, che dettero inizio a un impietoso declino che portò a massicci licenziamenti, rendendola una zona disastrata, sia sul lato economico che ambientale.

Il governo russo, nella speranza di evitare un problema immane, ha iniziato a mettere in sicurezza la fabbrica e a tentare di bonificare il territorio, oltre a cercare di terminare i lavori per mettere in sicurezza il mercurio – che dovrebbe essere raccolto in contenitori sigillati e immagazzinato, per poi essere purificato e venduto come puro – trattenuto dall’argilla, e il cui volume accumulato nel sottosuolo dovrebbe aggirarsi sulle diciottomila tonnellate.

Rimane da domandarsi, a sette lustri dal pauroso ricordo della centrale nucleare di Chernobyl – da cui si generò una delle peggiori catastrofi nucleari del mondo, che costrinse decine di migliaia di persone ad evacuare mentre il materiale tossico al suo interno si propagava su tutta l’Europa – se l’eredità dell‘inquinamento chimico e ambientale rimarrà lettera morta, o se si riuscirà ad imparare da essa.

 

Fonte articolo: tass.ru & irk.kp.ru

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