In questi ultimi anni si è parlato tanto di Repubblica e di Costituzione, forse perché stiamo vivendo un periodo di transizione politica e di rinnovamento, per le crisi attraversate o perché gli italiani più coscienti e predisposti ad evolvere diversamente dal passato. E quando abbiamo festeggiato il 2 giugno la Festa della Repubblica, i suoi 70 anni, tutt’ora resta una celebrazione assestante e poco sentita. Tante interviste fatte dai media agli italiani ha portato a scoprire che conosciamo poco e niente della nostra vita repubblicana, da dove nasce e con chi… insomma, chi siamo. Questo articolo vuole regalare ai curiosi degli spunti da cui iniziare una ricerca dell’appartenenza del sé, di cosa siamo e cosa vogliamo.
Il 2 giugno 1946 non si vota solo il referendum per scegliere tra monarchia e repubblica, ma i cittadini dovevano anche eleggere i 556 membri dell’Assemblea Costituente che avrebbero redatto la Carta. Siamo soliti ricordare i padri, ma dimentichiamo spesso le 21 madri costituenti. La più giovane tra loro fu Teresa Mattei, di anni 25, eletta nel Partito Comunista. Questa donna era stata una staffetta partigiana, catturata e violentata dai nazisti. Quella votazione fu un evento storico straordinario, per la prima volta le donne votarono una Consultazione Nazionale, simbolo dell’epoca, tanto da essere fotografata su tutti i giornali, la signora Maria Castaldo, di anni 82, che votò per la prima volta nel suo seggio di Anzio.
Il referendum per decidere la forma istituzionale dell’Italia dopo la caduta del regime fascista si tenne tra il 2 e il 3 giugno 1946, ma i risultati della votazione vennero resi noti con estremo ritardo, tant’è che passarono ben 16 giorni prima che la Corte di Cassazione proclamasse ufficialmente la nascita della Repubblica Italiana così come la conosciamo oggi.
La Festa della Repubblica, dunque, in realtà non si riferisce al giorno del passaggio ufficiale al sistema repubblicano, ma alla data in cui si tenne questo referendum, ritenuto, ovviamente, il più importante della nostra storia. La prima celebrazione avvenne due anni dopo, nel 1948, e ad essa venne dedicata la giornata del 2 giugno fino al 1977, anno in cui avvenne un importante cambiamento. A causa della crisi economica, si decise che la Celebrazione sarebbe stata commemorata la prima domenica di giugno per non perdere un giorno lavorativo in festeggiamenti. Soltanto nel 2000 con il secondo governo Amato si riporterà la festa al 2 Giugno che diventerà ufficialmente la giornata dedicata alla nascita della nostra Repubblica.
Fatta la Repubblica si doveva fare la Costituzione, intesa come la legge fondamentale dello Stato che nacque anche a tavola durante i pranzi informali organizzati per i padri costituenti cattolici: da Giuseppe Dossetti a Giorgio La Pira e Amintore Fanfani a casa delle signorine Pia e Laura Portoghesi, due sorelle intellettuali. In via della Chiesa Nuova Roma, al civico 14, dove si riuniva la comunità del Porcellino, così battezzata perché si era soliti consumare piatti di porchetta o secondo una versione meno nota per dare dei porci agli avversari politici.
L’Assemblea Costituente viene, quindi, eletta il 2 giugno 1946, con il sistema proporzionale, composta di 556 membri, di cui 21 donne (Dc 37,2%; Socialisti 20,7%; Pci 18,7%; Unione democratica nazionale 7,4%; Uomo qualunque 5,4%; Pri 2,9%; Blocco Nazionale delle libertà 2,9%; Partito d’Azione 2,3%; Altre liste 2,3%). Il suo compito è scrivere la Costituzione Repubblicana ma il decreto 98/1946 le assegna anche altri compiti tipici del Parlamento, tra questi l’elezione del Capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola in carica dal 1° giugno 1946 al 31 dicembre 1947. A norma della prima disposizione transitoria della Costituzione, dal 1° gennaio 1948 De Nicola assume il titolo di Presidente della Repubblica, restando in carica fino all’11 maggio 1948.
Si descrive di solito la Costituzione Italiana come “lunga”, “aperta”, “rigida”: per dirla in parole molto semplici e sommarie, una Costituzione serve a mettere nero su bianco (anche se non tutte le costituzioni sono scritte come lo è quella italiana) le regole condivise, su cui fondare la vita di uno Stato, nel nostro caso una democrazia pluralista con forma parlamentare. La Costituzione serve a definire la forma di Stato e di Governo, il processo legislativo, la separazione dei poteri e le loro caratteristiche, ma soprattutto serve a definire i principi fondamentali su cui si fonda la convivenza all’interno dei confini. Non a caso si cita spesso la Costituzione come “legge fondamentale”, gerarchicamente superiore alle leggi ordinarie tra le fonti del diritto. Il fatto che sia nata dalla sintesi di anime ideologicamente diverse e votata a larga maggioranza comporta il fatto che la Costituzione italiana sia “lunga”, cioè «scritta non sommando e non selezionando gli interessi e i valori delle diverse componenti», come scrive il costituzionalista Roberto Bin. Ed ancora scrisse necessariamente “aperta”: «Nel senso che non pretende di individuare il punto di equilibrio tra i diversi interessi ma non si limita a elencarli, a giustapporli, lasciando alla legislazione successiva di individuare il punto di bilanciamento». Non indica alla maggioranza la strada da prendere, ma si limita a fissare i confini, oltre i quali la volontà della maggioranza politica non può spingersi. «È vero, che la Costituzione italiana come tutte le costituzioni coeve, afferma valori opposti, spesso conflittuali, senza dire quale dovrà prevalere. Da ciò la Costituzione trae una notevole dinamicità e capacità di adattarsi ai tempi», precisa Bin. La si definisce, infine, “rigida” perché, improntata a prevenire la prevalenza arbitraria di un potere sull’altro, così da evitare ogni deriva antidemocratica dopo l’esperienza del fascismo. La Costituzione italiana può essere cambiata soltanto tramite un procedimento legislativo più complesso e a maggioranza più larga di quanto previsto per le leggi ordinarie, ma con in più, un limite invalicabile fissato nell’ultimo e 139° articolo: la forma repubblicana non può essere modificata.
L’ho letta attentamente possiamo firmare con sicura coscienza tutte” queste sono le parole pronunciate il 27 dicembre 1947, a palazzo Giustiniani, un attimo prima della firma del testo, dal capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola. Parole che sono state inserite sulla moneta commemorativa da €2 coniata per l’anniversario della carta costituzionale: con sicura coscienza. Un’altra curiosità è l’utilizzo di alcune parole usate all’interno della Costituzione ed hanno un peso persino la loro frequenza: un valore la più ricorrente è LEGGE che compare 138 volte, seguita da REPUBBLICA 95, ancora LAVORO 18 che ha un ruolo fondamentale nel 1° articolo: L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro, pensate batte persino LIBERTA’ con 13.
In quell’occasione fu ridefinita come Inno provvisorio d’Italia, scelto già il 12 ottobre 1946, “Il Canto degli Italiani“, ma che noi lo conosciamo come Fratelli d’Italia, scritto nel 1847 dal patriota Goffredo Mameli, e pensate solamente il 17 novembre 2005 è stato ufficialmente riconosciuto come tale.
A proposito di simboli la storia della scelta dell’Emblema della Repubblica è davvero democratica. Infatti, fu indetto un bando pubblico con un premio da diecimila lire (oggi €150) che vinse Paolo Paschetto di Torre Pellice (Torino), figlio di un pastore valdese, professore di Belle Arti che creò il nostro emblema simbolo: la stella del disegno indica l’Italia, dietro la ruota dentata il lavoro, ai lati coronando il tutto il ramo d’ulivo, ovvero, la volontà di pace della Nazione e quello di quercia, quale forza e dignità del Popolo. I colori si rifanno a quelli della bandiera italiana: bianca rossa e verde.
Ma vi siete mai chiesti perché proprio questi colori? Le motivazioni sono varie, secondo alcuni storici rappresenterebbero i colori di molti dei regni del nostro Paese preunitari (la Repubblica Cisalpina li aveva adottati per la propria bandiera). Quando è nata la bandiera italiana, precisamente il 7 gennaio 1797, si è deciso di crearla sul modello di quella francese, a bande verticali ed inserire i tre colori, che nel tempo hanno preso significati ben precisi: il rosso è il sangue dei caduti per la Patria, il bianco il simbolo dei nostri monti innevati e della saggezza, il verde rappresenta le nostre terre e la speranza.
E sono gli stessi che si vedono nel nostro cielo, durante la celebrazione della Festa della Repubblica, che fuoriesce dai 10 aerei della pattuglia acrobatica nazionale. Manovrati dai piloti, chiamati Pony, che disperdono quel fumo colorato composto da olio di vaselina con l’aggiunta di pigmenti non inquinanti. E sulla fascetta della corona d’alloro che il presidente depone sull’Altare della Patria per i Caduti e Dispersi in guerra, su quell’edificio di 81 m d’altezza e su cui spiccano le sculture che rappresentano i valori del popolo italiano: la forza, il diritto, l’azione, la concordia, il sacrificio e il pensiero. Costruito nel 1885 e chiamato anche Vittoriano dal nome di Vittorio Emanuele II primo re d’Italia. Mentre ai Fori Imperiali si assiste alla parata militare, spiccano le guardie d’onore del presidente della Repubblica italiana, il Reggimento Corazzieri. Una forza specializzata dall’arma dei Carabinieri che esisteva già ai tempi della monarchia, si costituì nel 1868 a Firenze, quando era capitale d’Italia, con 80 carabinieri a cavallo e il compito di scortare il corteo reale al matrimonio della Principessa Margherita con il Principe Umberto.
Quindi sentirsi italiani è un dovere o un onore? Molti si sono fatti questa domanda, altri criticano coloro che cantano l’Inno solo ai Mondiali di Calcio, altri lo vogliono riproporre a scuola per far crescere il senso di patriottismo e insegnarlo da piccoli. Certamente è leggibile che la Celebrazione del 2 Giugno resta una festa e che viene sentita solo a Roma, per chi può assistere da vicino alla parata.
Noi, resto d’Italia? Il crollo della politica e le vicissitudini non aiutano ma possono allo stesso tempo far nascere quel valore della democrazia che spinge alla agognata volontà di una rinascita della 7oenne Repubblica; sicuramente oramai in tutto il popolo dello stivale, citando le parole di De Nicola, con sicura coscienza abbiamo appreso da tempo, che dobbiamo ri-costituirci.

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