Una delle figure più difficili del panorama storico italiano, è sempre stato quella del Capo dello Stato. La sua carica rimanda a quella di un padre attento a sorvegliare i figli e non a caso la nostra più alta rappresentanza in Italia è sempre un uomo (almeno per ora), che redarguisce, difende, richiama, consiglia il suo popolo. Negli ultimi anni la sua persona è stata più volte vista come un’intromissione, che è intervenuta troppo. Oggi con Sergio Mattarella invece abbiamo un Presidente istituzionale, serio e di rappresentanza. Invece, in passato c’era chi picconeggiava, chi sapeva scegliere, chi ha affrontato grandi tematiche e chi ha subito scandali. Insomma, anche con uno dei simboli della Repubblica Italiana, abbiamo da scoprire molto. Nessuno però mette in dubbio la loro grande forza e determinazione per la Patria e la volontà di creare i presupposti per il benessere dell’Italia intera ed unita. Questo articolo, vuole raccontare non gli aspetti politici e di azione ma quelle curiosità, che abbiamo dimenticato e che rendono umani i nostri 12 rappresentanti istituzionali, e ci si è avvalsi anche di dati statistici che emergono dall’indagine de L’Espresso-Openpolis.

Innanzitutto, abbiamo avuto 12 presidenti della Repubblica Italiana. Il primo capo dello Stato provvisorio fu Enrico De Nicola, eletto il 28 giugno 1946 dall’Assemblea Costituente con 396 voti su 501. De Gasperi, dovette insistere molto per vincere la sua perplessità ad accettare la candidatura. Liberale fedele alla monarchia una volta eletto arrivò a Roma sulla sua automobile e rifiutò di insediarsi al Quirinale. Rinunciò anche allo stipendio da presidente.

Il suo successore fu Luigi Einaudi, eletto l’11 maggio 1948. Era un esponente del partito liberale, ministro del Tesoro e governatore della Banca d’Italia. Si votò due volte al giorno. Solo 4 scrutini (prese 518 voti su 871 votanti) per una durata complessiva di 10 ore e 25 minuti. Nelle prima votazioni naufragò il candidato indicato da De Gasperi, il repubblicano Carlo Sforza, ministro degli Esteri, impallinato dalla sinistra Dc. Una caratteristica di De Nicola fu il suo cappotto rivoltato, un gentiluomo d’altri tempi che rifiutò sempre lo stipendio da capo dello Stato. Si pagava le telefonate istituzionali e i francobolli di tasca propria, anche se non era affatto ricco, e scelse di vivere a palazzo Giustiniani, detto il piccolo Colle (oggi sede dell’appartamento di rappresentanza del presidente del Senato) anziché al Quirinale considerato troppo sfarzoso per il suo stile di vita parsimonioso. Come dargli torto, visto che il palazzo nacque come sede papale e fu usato come reggia, grande 110mila mq, con 3000 finestre, 205 orologi a pendolo e 20mila pezzi di argenteria. Fu anche il Presidente che vanta il maggior numero di atti di clemenza individuali (reati comuni o militari) e di provvedimenti di grazia per cittadini incappati in guai con la giustizia, con 15.578 pratiche firmate, ma va ricordato che si trovò però a gestire gli anni caldi del dopoguerra segnati dai crimini connessi al secondo conflitto mondiale e agli episodi di violenza politica che seguirono.

Il 28 aprile 1955 a salire al Quirinale, per la prima volta anche ad abitarci, fu Giovanni Gronchi, democristiano. Anche per lui solo 4 scrutini con 658 voti su 833 votanti, e passaggio alla prima votazione a maggioranza assoluta. Gronchi fu imposto dalla destra Dc che avevano bocciato nei primi scrutini il candidato ufficiale scelto da Fanfani, Cesare Merzagora. Rimase a palazzo sino al 11 maggio 1962, cioè per 1.828 giorni, due in più del suo predecessore Luigi Einaudi.

Scaduto il settennato Gronchi, venne eletto come quarto capo dello Stato Antonio Segni, il 6 maggio 1962 e ci vollero tre votazioni in un giorno, per arrivare a 9 scrutini quando prese 443 voti su 842 votanti. Il ‘professore’, le sue tante pubblicazioni di diritto processuale civile, diritto commerciale e fallimentare, nonché di materia agraria gli valsero la laurea di dottore “Honoris causa” in scienze agrarie all’Università Georgetown di Washington.

Il 28 maggio 1964, venne eletto dopo 21 scrutini, 646 voti su 927 votanti, Giuseppe Saragat, ex segretario del partito socialdemocratico e ministro degli Esteri. Si votò, oltre che alla vigilia, anche il giorno di Natale. Nelle votazioni andate a vuote non riuscì a imporsi il candidato ufficiale della democrazia cristiana Giovanni Leone, per l’ostilità del gruppo di Fanfani. “Il socialista che sapeva scegliere”, lo definì Domenico Fisichella, intellettuale di valore e certamente assai lontano dal mondo della sinistra. La sua forte coerenza politica e morale gli consentì anche di avere il coraggio dell’impopolarità.

L’elezione di Giovanni Leone arriva 7 anni dopo, il 24 dicembre 1971 e viene accompagnata da un record: 23 scrutini, quando alla fine prese 518 voti su 996 votanti. Superò il quorum con uno scarto di soli 13 voti. Leone fu scelto dopo che andò a vuoto il tentativo di Amintore Fanfani di farsi eleggere. Un presidente che si esibisce anche con gesti folkloristici quali scongiuri e ‘corna’, che molte volte hanno lasciando sbigottiti vicini e testimoni. Cronache e pettegolezzi nei riguardi di questo sottovalutato Presidente che fu bersaglio di caricature e sfottò, in quegli anni difficili come la strage di Brescia, le Brigate Rosse e il rapimento ed uccisione di Aldo Moro. Fino alle infondate accuse per lo scandalo Lockheed, che lo portarono alle sue dimissioni.

Aria nuova e di unione con l’elezione dell’8 luglio del ’78 di Sandro Pertini, settimo presidente della Repubblica, il più amato dagli italiani. Ci vollero 16 scrutini ma prese 832 voti su 995 votanti, e anche qui scattò il record di preferenze (tutt’ora ancora imbattuto). Fu socialista ma invece di essere indicato dall’allora segretario del Psi Craxi, fu candidato dal comunista Berlinguer. Uno dei suoi motti “Coerenza è comportarsi come si è e non come si è deciso di essere.” Tutti lo ricordano ai Mondiali dell’82 mentre esulta sugli spalti, la telefonata a casa di un bambino di otto anni per ringraziarlo della lettera che gli aveva scritto, quando faceva l’oratore nelle piazze pacificando gli animi. Per altri la sua storia giovanile: durante la prima guerra mondiale combatté sul fronte dell’Isonzo, e per diversi meriti sul campo gli fu conferita una medaglia d’argento al valor militare nel 1917. Nel primo dopoguerra aderì al Partito Socialista Unitario di Filippo Turati e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo e per questo fu perseguitato per il suo impegno politico contro la dittatura di Mussolini. Infatti, nel 1925 fu condannato a 8 mesi di carcere, e quindi costretto all’esilio in Francia per evitare l’assegnazione per 5 anni al confino. Continuò la sua attività antifascista anche all’estero e, dopo essere rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato prima alla reclusione e successivamente al confino, liberato solo con la caduta del regime.

Il 24 giugno ’85 sul Colle torna a salire un democristiano, Francesco Cossiga. Un’elezione rapidissima la sua con tre ore esatte e un solo scrutino prendendo 752 voti su 979 votanti. La sua candidatura fu costruita dal segretario Dc Ciriaco De Mita, che riuscì a convincere tutti i partiti. Suo altro record è di essere il più giovane tra i presidenti eletti, aveva 57 anni. Visse negli anni della Guerra Fredda e della Caduta del Muro di Berlino.

Il suo successore fu un altro democristiano, eletto il 25 maggio 1992: Oscar Luigi Scalfaro. Ma la sua investitura fu più complicata perché si dovette aspettare il sedicesimo scrutinio nel quale prese 672 voti su 1002 votanti. L’elezione fu accelerata dalla strage di Capaci: nei giorni precedenti il Parlamento aveva bocciato la candidatura del segretario della Dc Arnaldo Forlani, non votato dagli amici di Andreotti che si vendicarono per la mancata candidatura del loro leader. Vedovo solo dopo due anni di matrimonio, mentre diventava papà. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale Scalfaro partecipa, nelle vesti di pubblico ministero, ai processi che vedevano imputati i criminali fascisti e i collaborazionisti e mosse i primi passi nella politica durante le elezioni del 2 giugno 1946, venendo eletto per l’Assemblea Costituente. Lascia ufficialmente la toga per la politica.

Decimo presidente della Repubblica venne eletto, il 13 maggio del 1999, Carlo Azeglio Ciampi. Record assoluto di velocità con solo 2 ore e 40 minuti per far partire il settennato dell’ex Governatore della Banca d’Italia. Un solo scrutinio in cui prese 707 voti su 990 votanti e sulla sua candidatura si accordarono trasversalmente Veltroni, Fini e Berlusconi. Guidò l’Italia negli anni degli attentati di Mafia e dello scandalo Tangentopoli.

Il 10 maggio 2006 viene eletto per la prima volta Giorgio Napolitano. Anche in questo caso fu un’elezione rapida, al quarto scrutinio con 543 voti su 990 votanti. Il primo ex comunista a salire al Colle, fu votato dalla maggioranza di centrosinistra, con l’astensione del centrodestra. Ma gli anni sono difficili e dovrà più volte intervenire nei fatti del governo a carte scoperte. Sette anni dopo, tocca ancora a Napolitano tornare a rivestire la carica di Capo dello Stato. Viene rieletto il 20 aprile 2013 al sesto scrutinio con 738 voti su 997 votanti, che accetta malvolentieri e per necessità, perché i partiti non si accordavano. Al primo scrutinio, infatti, fu “bruciato” Franco Marini con 521 voti e non passò il quorum dei due terzi richiesto. Ancora peggio andò a Romano Prodi che al quarto scrutinio prese solo 395 voti, tradito da 101 parlamentari del Pd.

Infine, oggi ancora in carica, dopo le dimissioni di Napolitano (oramai 90enne) il 31 gennaio 2015 viene eletto l’undicesimo Capo dello Stato italiano, Sergio Mattarella. Dopo il IV scrutino con 665 voti su 995. Uomo schivo e riservato, che dal 1992 al 1994 assunse la direzione del Popolo, quotidiano dello Scudo Crociato, il suo nome è legato alla legge elettorale che il politologo Giovanni Sartori ribattezzò Mattarellum, la quale dopo il referendum del 1993, venne utilizzata per le elezioni del 1994, del 1996 e del 2001, prima del Porcellum. Qualcuno lo ha ricordato quando da ministro della Difesa, Mattarella decise di abolire la leva obbligatoria o quando nel 1990, invece, da ministro della Pubblica istruzione si unì alla battaglia cattolica contro la tappa romana del Blonde Ambition tour di Madonna. Perché la popstar era stata definita dal Vaticano «eretica e irriverente» e la sua musica «blasfema e deviante». Mattarella, appoggiando i vescovi, si limitò a bollare la performance come «un’offesa al buongusto».

Questo excursus porterà alla mente dei tanti momenti ed avvenimenti della propria storia e un tuffo nel passato. Così per altri verrà la voglia di conoscere, le figure professionali e quelle presidenziali. Altri avranno letto un articolo come tanti, ma forse quando sarà eletto il nuovo Capo dello Stato, potrà ripensare al valore che questa figura dovrà rappresentare, al pesante fardello e all’onore che un uomo (o una donna) dovrà indossare per rappresentare gli italiani. E parafrasando le parole di Sandro Pertini, che sia sempre, in ogni circostanza e di fronte a tutti, un uomo libero e pur di esserlo sia pronto a pagare qualsiasi prezzo, per il popolo italiano.

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