“Ho tatuato il numero nel suo braccio sinistro e lei ha tatuato il suo numero nel mio cuore”

Una frase del genere, che sembra detta in una storia tra innamorati, la si legge invece nel romanzo di Heather Morris “Il tatuatore di Auschwitz”, nel quale viene raccontato sì, di un amore, ma che è nato tra gli orrori dell’olocausto, in un luogo, Auschwitz, ai confini della realtà. Un amore tanto grande da essere riuscito a sopravvivere alla fame, alla sete e alla disperazione.

Lale, Gita e il loro bambino
Lale, Gita e il loro bambino

Lale Eisenberg Sokolov, uno slovacco di appena 26 anni, incaricato – ma in realtà costretto per poter continuare a vivere – di marchiare i numeri identificativi sulle braccia degli ebrei, incontra un’altra deportata come lui, Gisela ‘Gita’ Furman, una giovane ebrea, in tale “antro dell’inferno” e, quando i loro occhi finiscono per incrociarsi, è amore a prima vista.

Sarà l’amore per “una ragazza di 18 anni vestita di stracci e con la testa rasata” che gli darà la forza e la speranza di sopravvivere, attraverso un “amore clandestino” fatto di sguardi da lontano, lettere e qualche scorta di cibo fino al momento in cui – tre anni dopo – furono separati, perdendosi di vista.

Fu solo nel 1945, finita la Seconda Guerra Mondiale, i due giovani sopravvissuti si ritrovarono in Cecoslovacchia, decidendo di sposarsi, nel disperato tentativo di chiudere un capitolo oscuro della loro vita, per poi vivere tra Vienna e Parigi, stabilendosi infine in Australia, dove nascerà il loro bambino.

Tale storia sarebbe rimasta nascosta se, nel 2003, Lale non avesse incontrato la scrittrice neozelandese Heather Morris, che decide di raccontare non solo la sua vita -conclusasi nel 2006-, ma anche di un amore nato tra la distruzione che ha dato la forza a due esseri umani di lottare con le unghie per uscire dai cancelli dell’inferno.

FONTEGreenMe
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