PragaRepubblica Ceca, 13 Marzo 2018

Ore 10:00

Uno scorcio di Piazza Della Città Vecchia, a Praga.

Al risveglio, quando la città prende vita ed i turisti iniziano ad invaderne le strade, Praga si mostra per quel che è: una cittadina poliedrica e dai colori sgargianti che il tempo pare proprio non scalfire. Nel percorrere le vie che ci porteranno in centro e nell’osservare chi incrocio sul mio cammino , noto che il clima di festosità che ieri sera aleggiava nell’aria, sembra non esser mai scomparso. Ma posso solo immaginare quanto queste sensazioni cambieranno, una volta raggiunta la meta di oggi: il campo di concentramento di Theresienstadt, anche conosciuto come ghetto di Terezín, il “campo dei bambini”.

Dopo aver fatto un salto in Piazza della Città Vecchia, ci dirigiamo verso la stazione ferroviaria e saliamo a bordo di un treno dall’aspetto antiquato, con cabine ed interni in legno, che pare quasi presagire un viaggio nel passato. Guardando fuori dal finestrino, dinanzi ai miei occhi, scorrono paesaggi ben differenti da quelli che caratterizzano il centro di Praga e che si fanno sempre più cupi, man mano che il mezzo avanza verso Nord.

“Percorreremo la stessa strada che hanno percorso i deportati”: questa la promessa della guida turistica che, oggi, ci accompagna in questo viaggio.

Ore 11:53

Gli interni del crematorio.

Per noi, il treno ferma a Bohušovice nad Ohří, una cittadina poco distante dal campo di concentramento che conta circa 2.500 abitanti. Da qui, è possibile raggiungere Terezín a piedi. Attraversando campi desolati e strade abbandonate, raggiungiamo un cimitero ebraico, al centro del quale sorge il forno crematorio del campo, oggi visitabile.

I forni.

L’immagine che si apre dinanzi a me, sorpassato l’ingresso della struttura, è molto forte: uno stanzone dalle pareti ingiallite e macchiate di nero ed al suo interno 4 forni a dimensione d’uomo, dinanzi ai quali sono state accese delle candele e lasciati dei fiori, in memoria dei defunti. In una camera adiacente, ancora sopravvivono un armadietto pieno di utensili e due tavoli operatori su cui i corpi venivano adagiati e, probabilmente, sezionati prima di essere inceneriti.

Un armadietto e dei tavoli operatori, ancora intatti, all’interno del forno crematorio.

In un’ultima stanza, risiede una riproduzione in scala del ghetto di Terezín, utile per comprendere la storia del luogo, nato ben prima di diventare campo di concentramento. Theresienstadt, infatti, fu costruita tra il 1780 e il 1790, nacque come città-fortezza e fu voluta da Giuseppe II d’Asburgo che ne scelse il nome in onore della madre Teresa. La fortezza ha una pianta particolare: le alte mura che la circondano furono disegnate nella forma di una stella con numerose punte, pensata per scoraggiare eventuali intrusioni o attacchi nemici.

La pianta di Terezín: a sinistra la grande Fortezza; a destra la Piccola Fortezza.

Essa è composta da due zone ben distinte: la Grande Fortezza, ai tempi luogo di guarnigione e la Piccola Fortezza, che fu adibita a carcere di massima sicurezza ed in cui, nel 1918, fu imprigionato e morì Gavril Princip, uccisore dell’arciduca Francesco Ferdinando (erede al trono austroungarico) il cui assassinio fu causa del crollo dell’assetto politico europeo che portò allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Ore 13:40

Le strade dissestate della Grande Fortezza.

Al nostro arrivo all’interno della ex Grande fortezza che, dal 1941, divenne ghetto, mi rendo subito conto di quanto un luogo resti ancorato alla sua storia. Il primo impatto è quello di trovarsi in una città-fantasma su cui aleggiano inquietudine, angoscia e tristezza. Le vie della cittadina sono semi-vuote, la maggior parte di coloro che vi abitavano ha, probabilmente, deciso di trasferirsi altrove. Le strutture, tutte uguali e dall’aspetto austero, sembrano non aver mai trovato nuova vita se non come memoriale o museo. Persino la vegetazione del luogo, poca e localizzata prettamente nella piazza cittadina, sta pian piano morendo.

La piazza cittadina di Terezín

Del resto, pur non essendo un campo di sterminio, Terezín fu comunque luogo di morte. I tedeschi lo utilizzarono come mezzo di propaganda, presentandolo al mondo come “esemplare insediamento ebraico” e, quando i rappresentati della Croce Rossa Internazionale furono inviati dalle autorità danesi in visita al campo, venne inscenato uno “spettacolo” fatto di inganni e bugie, così convincente che i tedeschi girarono addirittura un film di propaganda in cui “dimostravano la loro benevolenza nei confronti degli ebrei”. In occasione della visita, infatti, vennero costruiti finti negozi, le camerate vennero riverniciate ed in ogni stanza trovarono alloggio tre deportati, così da non dar prova delle loro vere condizioni di vita e del loro destino, ormai segnato.

Ma la verità era ben altra.

Furono in 155.000 gli ebrei che passarono per il campo di concentramento di Theresienstadt, fino alla sua liberazione, avvenuta l’8 Maggio del 1945. In 35.440 morirono nel campo, di fame, privazioni, stenti e malattie. Più di 88.000, invece, furono poi smistati nei campi di sterminio di Treblinka ed Auschwitz-Birkenau da cui, quasi tutti, non fecero mai ritorno.

Ore 14:20

È all’interno del Muzeum Ghetta ed osservando luoghi, oggetti e disegni che riesco a farmi un’idea ben precisa della vita all’interno del ghetto e di quanto, nonostante tutto, i deportati cercassero di vivere il più normalmente possibile o, perlomeno, di adoperarsi affinchè fossero i tanti bambini che affollavano il campo a farlo. Infatti, nonostante frequentare la scuola fosse proibito, gli adulti tenevano lezioni di vario genere e coinvolgevano i piccoli in attività culturali, spettacoli teatrali e musicali. Diversi scrittori, attori, artisti ed intellettuali di origine ebraica contribuirono alla creazione di una vita culturale a Theresienstadt.

Ricostruzione di una camerata, in cui alloggiavano i deportati.

Hans Krása, ad esempio, fu un noto compositore ceco che, una volta nel campo, rielaborò l’opera musicale per bambini Brundibar e fece si che fossero proprio i piccoli del ghetto a metterla in scena dal 1943 al 1945, per ben 55 volte, di cui una in occasione della visita della Croce Rossa. Friedl Dicker-Brandeis, artista ed insegnante austriaca, creò per loro una classe di disegno e, prima di essere deportata ad Auschwitz, nascose i 4000 disegni realizzati dai bambini all’interno di due valigie che sopravvissero all’ispezione dei nazisti. Oggi, quei disegni fanno da testimonianza e, osservandoli, è impossibile non notare quanta oscurità circondasse i piccoli deportati e quanto, nonostante questo, continuassero a sognare una vita libera e spensierata.

Malgrado tali sforzi, anche la maggior parte dei piccoli deportati vide la morte nei campi di sterminio: degli oltre 15.000 bambini del campo, sopravvissero solo in 1800, di cui 800 erano adolescenti in fuga da altri campi, giunti a Terezín solo negli ultimi mesi. All’interno del museo, una stanza vuole ricordarli. L’elenco è lungo, i loro nomi sono stati incisi, uno dietro l’altro ed in caratteri semplici, su grandi lastre di pietra affisse alle pareti e sono così tanti che contarli sarebbe quasi impossibile.

Ore 15:30

Il paesaggio spettrale, sul ponte che attraversa il fiume e porta alla Piccola Fortezza.

Dopo aver visitato il museo del ghetto, ci incamminiamo verso la Piccola Fortezza che, dal 1940, venne utilizzata dalla Gestapo come prigione ed in cui ebbe fine la vita di 2600 persone. Le due fortezze sono separate dal fiume Ohře e ad unirle c’è un unico ponte. Considerando quanto i colori influiscano sulla percezione che abbiamo di un luogo, si può immaginare cosa il paesaggio che ora mi circonda possa trasmettermi: spicca il beige sbiadito dei pochi palazzi ubicati sulla sponda del fiume, l’acqua verdognola che scorre veloce sotto i nostri piedi ed il grigio delle nuvole che si chiudono sulle nostre teste.

“ARBEIT MACHT FREI”

La Piccola Fortezza suscita emozioni altrettanto negative. Di fronte all’entrata sono state erette una Stella di David ed una Croce, unici elementi verticali tra le lapidi che compongono un secondo cimitero ebraico. All’interno del cortile un arco riporta la scritta “ARBEIT MACHT FREI” (in tedesco “il lavoro rende liberi”), il motto che spesso, durante la Seconda Guerra Mondiale, veniva posto all’entrata dei lager. Tutti gli ambienti visitabili della fortezza suggeriscono una detenzione a dir poco disumana.

Il patibolo ed il muro: i luoghi delle esecuzioni.

Ad un certo punto, ci viene proposto di percorrere un corridoio sotterraneo, allora utilizzato dalle guardie per risparmiare tempo e, dopo circa 6 minuti di camminata al buio, raggiungiamo un’area vuota, circondata da mura di mattoni. In un angolo, sorge una scultura a dir poco toccante che vuole ricordare le sofferenze subite dal popolo ebraico e, davanti ai nostri occhi un patibolo ed un muro su cui, ancora oggi, sono visibili numerosi fori di proiettile. Alle spalle di quest’ultimo sorge la villa del comandante delle guardie e la piscina in cui i suoi figli passavano allegramente le giornate e facevano il bagno.

Triste pensare che intanto, poco distante, qualcuno stesse morendo.

Ore 17:00

Sulla via del ritorno, è inevitabile per me riflettere su quanto ho visto e chiedermi come i tedeschi siano riusciti, indisturbati e per così tanto tempo, a perpetrare tali crudeltà. Mi torna in mente la scritta “INDIFFERENZA”, il Memoriale della Shoah di Milano, ubicato sul binario 21 che nacque proprio per non dimenticare quale ruolo ebbe l’indifferenza di chi temeva o non voleva essere coinvolto nel permettere che una tale tragedia accadesse.

Perciò non ignoriamo, non dimentichiamo. Studiamo ed informiamoci, così da non ripetere gli errori commessi in passato, di qualsiasi genere essi siano.

Non dimentichiamo, affinchè tutte quelle persone non siano morte invano.

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Truccatrice certificata dal 2017, specializzata in diversi ambiti del make-up tra cui beauty, wedding, moda, epoche, body painting ed effetti speciali. Diplomata in Pittura e Decorazione Pittorica, ha poi proseguito i suoi studi accademici ed ottenuto la qualifica di Truccatore dello spettacolo. È stata truccatrice per sfilate di vari brand durante eventi di prestigio quali Milano Fashion Week, Monte-Carlo Fashion Week, “Mare Damare” a Firenze ed “Hera Wedding”, nonchè assistente trucco sul set di “Gomorra 4” e truccatrice in ambito teatrale e televisivo.