La perdita della fede.

Un tema che coinvolge tutte le religioni, e che colpisce chi ha subito una sciagura, che lo porta a domandarsi perché il Creatore possa averlo abbandonato, in un momento in cui necessitava del suo aiuto. Spesso, coloro che sono afflitti da una grave malattia – o i parenti al suo fianco – si ritrovano a chiedersi perché si permetta al male di prosperare a spese di un innocente, condannato a soffrire un dolore che non merita. Ma anche chi ha subito un lutto dal quale non è mai riuscito a riprendersi si ritrova ad affrontare una tale situazione, vedendo intorno a lui solo ipocriti e bugiardi che fingono di “capire quello che prova”.

Quando a confrontarsi in qualcosa del genere è un “uomo di fede”, incaricato di vegliare su coloro che gli sono stati affidati, il tutto può rivelarsi “problematico”, in quanto la mancanza di lucidità potrebbe facilmente portarlo a commettere errori di giudizio alquanto pericolosi, mettendo a rischio chi “dipende da lui”. Ad esplorare una simile ipotesi, il regista svedese Ingmar Bergman, che sceglie di narrare la “crisi profonda” di un pastore protestante – indirettamente ispirato alla figura di suo padre – mettendone in luce le debolezze e le crepe nel film Luci D’Inverno.

Il pastore Tomas Ericsson, da quattro anni vedovo, prosegue nella sua “missione” nella chiesa parrocchiale di Mittsunda, ma ormai per lui è diventato tutto un “arido esercizio” un tempo spirituale attraverso rituali ripetuti meccanicamente. Neanche Marta Ludgren, maestra della scuola locale che lo ama, riesce a scalfire la “corazza” che si è costruito, e che lo separa dai suoi parrocchiani. Ciò gli impedirà di evitare il suicidio di uno di loro – Jonas Persson, affetto da mania depressiva e dalla paura della bomba atomica – e, quando il sacrestano gli ricorderà le sofferenze interiori di Gesù in croce quando i discepoli lo abbandonarono, sembrerà recuperare la sua fede, senza che si riesca a comprendere se “tale miracolo” è davvero avvenuto oppure no.

FONTEwikipedia.org
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