Vico Limoncello è un budello che va da via Consolazione a via dell’Anticaglia. Siamo nel decumano superiore, una delle tre strade equidistanti e parallele che percorrono il centro antico della città. Qui vidi luce il 25 gennaio 1953. Ho detto “luce”: avrei dovuto dire tenebre, e per due ragioni. La prima, è che diedi il primo vagito all’una di notte; la seconda, che il sole, a vico Limoncello, non si vedeva mai, tanto che la domenica mio padre diceva a mia madre: “Cuncettì, vesti a Marcello, che lo porto a vedere il sole”. Il sole “si vedeva” nella vicina a Via Duomo, strada nella quale avremmo poi abitato.” (Cuore di Napoli: viaggio sentimentale tra i vicoli e i bassi della città, di Marcello D’Orta).

Un luogo baciato dal sole che si tinge di giallo illuminando i portoni, i bassi ed ogni basolo lungo il percorso. È questa l’idea che si ha pensando a Vico Limoncello, ma si è molto lontani dalla realtà, perché si tratta di un vicolo stretto e buio, leggermente in salita, posto su Caponapoli, che più volte ha cambiato denominazione. Fu detto ad esempio Vico dei Giudei, in quanto accolse il più antico insediamento ebraico, il tutto testimoniato da documenti che sottolineano come questa stradina ne accogliesse tanti, i quali vi si stabilirono a causa dei Bizantini, divenendo una delle tante Giudecca della città, ossia, antichi quartieri dove dimoravano gli ebrei.

Non mancarono altri toponimi, quale ad esempio Vico dei 12 Pozzi, vista la presenza del vicino Convento di San Pietro ai 12 Pozzi, chiamato così popolarmente, e che corrispondeva a San Pietro al Monte, ovvero l’attuale Donnaregina Vecchia. Tali Pozzi erano collegati ai condotti d’acqua della zona del Formiello, oggi Porta Capuana.
Con l’avvento degli Angioini, Vico Limoncello verrà nuovamente chiamato dei Giudei, anche se probabilmente la presenza degli ebrei era ormai esigua. Nell’VIII secolo poi, il Duca Sergio I di Napoli vi fondò la chiesa di San Gennaro Spogliamorti, e così anche il vicolo ne prese il nome, proprio dalla congrega che si occupava di rivendere al mercato gli abiti sfilati nel vicino ospedale S. Maria degli Incurabili ai morti di peste e di colera. È lecito pensare che gli acquirenti fossero ignari che camicia e pantaloni fossero appartenuti ad appestati, in quanto sicuramente non li avrebbero comprati neppure a prezzi irrisori.

In merito all’attuale toponimo, non si hanno fonti che ne spiegano l’attribuzione, ma conoscendo la fantasia dei napoletani, non è da escludere che gli abbiano voluto attribuire un nome ricco di luce, pari ai limoni gialli baciati dal sole, proprio laddove il sole si fa desiderare; oppure che il nome derivi dagli agrumeti, posti secoli addietro, intorno all’ospedale Santa Maria degli Incurabili.

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Dott.ssa Assunta Mango, laureata in economia all’Università Federico II, giornalista, scrittrice, ricercatrice e mobility manager, addetta alla selezione e valutazione del personale nonché progettista presso il Comune di Napoli. Ha pubblicato: “Napoli Esoterica: I tre Decumani“, "Tempo e Tradizioni: I mestieri nel Presepe Napoletano", "Storie e leggende tra i due laghi“, "Mirate al cuore", "Io, sono Giuditta". Regista e sceneggiatrice di commedie teatrali e socia fondatrice dell’Associazione “Oltre i Resti“.