Su Via Maria Longo, all’interno del Complesso degli Incurabili, di fronte alla Chiesa che fu di Santa Patrizia, vi era l’edificio che faceva parte di un Convento di Riformate, fondato da Maria Lorenza Longo. La chiesa prendeva la sua denominazione da suore, principalmente donne pentite, un tempo prostitute che cercavano la redenzione attraverso la vita religiosa, e si prendevano cura delle inferme e delle matte dell’ospedale.

Durante il decennio francese, a cavallo tra ‘700 ed ‘800, le suore furono allontanate e l’edificio religioso venne affidato alla Confraternita della Visitazione di Maria (residente fino ad allora presso la Chiesa di San Nicola alla Carità), che vi collocarono all’interno un quadro ovale della Vergine, opera di Paolo De Matteis. Nel 1813 il convento venne annesso al complesso ospedaliero e vi furono trasferiti i malati di tisi.

Nel Monastero delle Pentite, all’ingresso, vi era una statua in legno di una monca che chiede l’elemosina (andata persa). La leggenda vuole che derivi da quanto accaduto ad una delle sorelle che, avendo tentato di uscire dal convento, era rimasta immobile come fosse di legno rimanendo bloccata sulla soglia.

Dire quindi “ca s’arriva tutte quanne alla monaca ‘e lignamme”, che letteralmente vuol dire ‘qui tutti arriviamo presso la monaca di legno”, si vuol intendere che stiamo impazzendo e che stiamo perdendo il lume della ragione. Essere arrivati nei pressi del monastero, quindi, significava essere stati ricoverati per far fronte ai disturbi mentali che ci affliggevano, o che i potrebbe arrivare alla pazzia ed essere accuditi dalle famose monache. Impazzire di conseguenza a tal punto da perdere il senno ed essere una testa di legno, senza ragione e sentimento (altra terminologia popolare).

Certo è che poi in quello stesso luogo avremmo incontrato un medico o un infermiere dal nome Giorgio (che molti fanno risalire in Giorgio Cattaneo), molto bravo nel domare i pazzi scatenati. La sua bravura, unita alla sua fermezza viene riportata anche in un canto popolare della fine del ‘600:

Comme te voglio amà, ca sî ‘na pazza? Nun tiene ‘na parola de fermezza…

Vatténne a Nnincuràbbele pe pazza, là ce sta Mastu Giorgio ca t’addrizza!”

A Napoli  “faje ‘o Mastu Giorgio” indica tenere buoni persone dai caratteri forti o appunto domarli per atti quasi pari alla pazzia. Quietare i pazzi e gli esaltati o sedare una rissa. Secondo la leggende il famoso medico faceva girare velocemente intorno al pozzo sulla scala dell’Ospedale degli Incurabili, questi pazienti detti pazzi esagitati, facendoli stancare e sudare, poi i più tremendi venivano calati nel pozzo con l’acqua gelida, cosicché i matti venivano ‘educati’ a non ripetere quei gesti violenti.

Certo dobbiamo sperare che questi metodi non vengano riproposti altrimenti, come scrisse Biaso Valentino, poetastro seicentesco:

Deh, mastro Giorgio mio, dotto e saputo,

che tanta cape tuoste aje addomate,

si nun te muove a darce quarch’aiuto,

nuje simmo tutte quante arrovenate”.

Articolo precedenteAspirina: una storia che parte da molto lontano
Articolo successivoVenezuela: rischio disastro ambientale