Si potrebbe iniziare con il Canto XXI (25,27) del Purgatorio della Divina Commedia di Dante per parlare della Conocchia di Napoli:

«Ma perché lei che dì e notte fila,

non gli avea tratta ancora la conocchia,

che Cloto impone a ciascuno e compila…»

In verità qui il termine sta per pennecchio avvolto alla rocca, indicando il filare una conocchia di lana, seppur il termine vuole significare ed indicare anche un sistema di coltivazione delle viti, che si piantano agli angoli di un quadrilatero e si riuniscono superiormente mediante canne.

La prima conocchia che incontriamo, e forse, meno conosciuta se non dai residenti, è all’interno del Parco del Poggio ai Colli Aminei. Già di suo il parco, recuperato nell’amministrazione Bassolino, è situato in una cava di tufo utilizzata negli anni ‘70 per l’edificazione di parte del Rione Sapio.

Qui al suo interno, luogo di svago per bambini e giovani, vi è un monumento sepolcrale romano chiamato “la Conocchia”, distrutto negli anni sessanta nel mese di aprile (Roberto Pane, Napoli Nobilissima). L’imponente struttura, ridotta a stalla, venne distrutta nel 1965 durante gli sbancamenti finalizzati per la realizzazione di lotti edificabili (non portato a termine).

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Conocchia Parco di Poggio

Opera della seconda metà del I sec. d. C., situato lungo l’antico percorso della salita dello Scudillo (dai nobili che vi abitarono), e la denominazione Conocchia indica una somiglianza, con la cuspide, di forma affusolata, appunto lo strumento tessile. Esso aveva una base cubica nella quale si aprivano delle nicchie e sulla quale si poggiava il corpo cilindrico a cuspide, che ritroviamo similari in altri punti: alla Fescina (Quarto) e al famoso lungo la strada di Santa Maria Capua Vetere.

Nel Medioevo divenne famoso tanto da dare il nome all’intera zona, dapprima “ad illa Conuccla” e poi la Conocchia, toponimo che tuttora indica un’area limitrofa, luogo anche visitato durante Il Grand Tour, infatti comparve in numerose guide turistiche e pitture. Una stampa dell’Ottocento mostra l’ingresso del mausoleo e tutt’intorno un paesaggio da favola.

Poco distante esiste un altro importante luogo che si appropria di questo nome: Conocchia. In passato era di proprietà della Compagnia di Gesù, ed è conosciuto come Collegio del Salvatore (Convitto Nazionale dei Gesuiti) oppure Istituto Francesco Giordani alla Conocchia (visibile in più punti della città, come da via Fontanelle alla Sanità. Infatti, quella zona per lungo tempo prendeva il nome della Conocchia alla Sanità. Questa opera costruita bel XVIII secolo si ergeva vicino ad un mausoleo ‘Conocchia’ del I secolo, abbattuto abusivamente nel 1965. Edificio estivo per i Gesuiti che quando furono espulsi di nuovo anche da Garibaldi, venne sequestrato. Fu trasformato nel tempo in ospedale per malattie infettive, vista la sua zona isolata, ad esempio nel 1884 per il colera fu luogo di ricovero e luogo riavvicinamento storico tra re Umberto I di Savoia con il cardinale Guglielmo Sanfelice, quindi stato e chiesa dopo la presa di Roma. Dopo lunghi studi nel 1886 divenne sede per l’Istituto Pontano che ne aveva fatto strumento di ricerche storiche, passo di nuovo a sede di istituto scolastico di proprietà della provincia di Napoli, e dagli anni ’80, dopo il terremoto, è abbandonato e inutilizzato.

All’interno della struttura, nei sotterranei esistono tortuosi percorsi conducono fino al cimitero delle Fontanelle, furono utilizzati in passato come nascondiglio e deposito di armi dai clan camorristici della zona. Al suo interno esisteva (oramai distrutto e saccheggiato) il grande teatro al piano terra, eppure fu luogo straordinario per la sua terrazza panoramica dove andarono a dipingere alcuni esponenti della Scuola di Posillipo, tra questi Teodoro Duclère, Anton Smink Pitloo e Giacinto Gigante. Resta tra i calcinacci e la muffa una scritta del passato «Non temere né freddo né lacrime».

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Convitto della Conocchia

Abbiamo accennato anche ad un altro mausoleo conosciutissimo con questo nome. Esso si trova sulla via Appia, nel paese di Curti, a pochi chilometri dalla Reggia di Caserta e l’Anfiteatro di Capua. Datato presumibilmente intorno II secolo d.C., quando Roma visse la sua fase di massima espansione, alto sedici metri. Composto da tre corpi sovrapposti e delimitato da quattro colonne. La prima parte del quadrilatero ha ben undici nicchie, e si narra che vi fu sepolta anche Flavia Domitilla, nipote di Vespasiano, perseguitata da neo imperatore Domiziano perché di fede cristiana. Altre fonti ci parlano anche delle ceneri di Appio Claudio Cieco, politico e letterato romano, che costruì la strada nel 312 a. C.

Ben mantenuta grazia al restauro per volontà di Ferdinando IV di Borbone, sotto la guida di Carlo Vanvitelli, ad opera di Giambattista Parente delle Curti (che ne fu anche custode) forse proprio per lo sviluppo del Grand Tour (a ricordo vi è un’epigrafe).

Una Napoli che fila la sua storia attraverso un pennecchio avvolto alla rocca, una conocchia come se fosse una delle Parche che intreccia il proprio destino!

FONTEwikipedia;
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