LaRepubblica ha raccontato la vicenda che l’ha profondamente scossa, intervistando al giovane infermiera di 48 anni che è stata violentata a Napoli, domenica intorno alle 15, in pieno giorno, da un immigrato irregolare del Senegal, poi bloccato dalle forze dell’ordine.

La donna, tornandoa casa da lavoro in una struttura attualmente impegnata in progetti per l’assistenza ai malati post-covid, mentre attendeva un bus in corso Arnaldo Lucci e si trovava da sola su una panchina nei pressi del Metropark.
Un incubo che è durato 45 minuti, la donna ha raccontato che ha chiesto aiuto ad una passante, che non si è fermata ed è andata via. Soltanto quando è arrivato il bus l’autista è sceso per intervenire così è arrivata anche una pattuglia dell’esercito impegnata in pattugliamento. Infine la Polizia di Stato che ha fermato l’aggressore portandolo in carcere.

“Domenica, dopo il lavoro, stavo tornando a casa, ad Avellino. Dopo aver preso la metro ero arrivata alla Metropark in anticipo. L’autobus per Avellino, a causa della riduzione delle corse per l’emergenza Covid, sarebbe partito un’ora dopo. Alle due e mezza del pomeriggio non c’era anima viva, così mi sono seduta su una panchina ad aspettare”.

Poi il dramma: “All’improvviso un uomo grande e grosso è venuto verso di me. Ho subito avuto paura, aveva un’aria minacciosa. Mi ha afferrato un braccio, ho pensato ad una rapina. Gli ho detto di prendersi i soldi ma mi ha risposto di non volere quelli. Poi mi ha strattonato e scaraventato per terra. Mi ha strappato il giubbino di dosso. Ho capito che per me era finita“. Addolorata la giovane continua: “Mi sono accovacciata a terra per proteggermi ma mi ha preso alle spalle. Si è messo sulla mia schiena provocandomi un dolore immenso. Non saprei dire se era più forte quello fisico o quello mentale. Diceva cose assurde: di dovermi purificare, togliermi il fuoco che ho dentro“.

Ho cercato di difendermi: “Ho pensato di essere più forte io! Ho mentito per salvarmi, dicendo che ero incinta, che non riuscivo a respirare e che avevo bisogno di acqua. Ma lui continuava a cercare di strapparmi i jeans, dicendomi che se non gli avrei fatto fare quello che voleva mi avrebbe ucciso. La mia schiena era a pezzi, il collo pieno di lividi. Mi levava la mano dalla bocca nel tentativo di girarmi e mettermi con la schiena a terra. Mi sono aggrappata a un cassonetto di rifiuti per impedirglielo. Fino a quando non è arrivato l’autobus”.

Portata in ospedale la donna è stata curata, aveva la febbre, temperatura salita per lo choc, ed ha aggiunto: “Alcuni agenti, per il disgusto, non sono riusciti a guardare i filmati registrati dalle telecamere di sorveglianza”.

La polizia sta cercando anche la donna che non è intervenuta alla richiesta di aiuto.

L’infermiera conclude con: “Sto ancora male. Non sono tornata a lavorare, ho dovuto vivere il dolore di mia figlia che si sente ferita come donna e come figlia. E quella di mio marito che si sente in colpa e impotente per non avermi potuto proteggere. Ma la cosa che più mi fa male è la paura che ho avuto della morte e che ora mi impedisce di sorridere. Per il mio lavoro, questo è importante. Ora mi sembra di non trasmettere più, a chi ne ha bisogno, l’interesse per la vita. Anche solo con un sorriso. Invece posso solo vivere il mio dolore”.

FONTEansa.it, larepubblica
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