Questo è il primo articolo-intervista su dei giovani napoletani che si sono affermati e si stanno facendo conoscere al grande pubblico con la loro Arte e la loro Passione. L’intento è di raccontare dell’esperienza di giovani partenopei che sono la faccia buona e pulita della Napoli che tanto amiamo.
Come scriveva Oscar Wilde: “La Bellezza è una forma del Genio, anzi, è più alta del Genio perché non necessita di spiegazioni. Essa è uno dei grandi fatti del mondo, come la luce solare, la primavera, il riflesso nell’acqua scura di quella conchiglia d’argento che chiamiamo luna.” Allora, possiamo raccontare della nostra città attraverso gli occhi di giovani artisti e le loro esperienze su come si muove oggi un ragazzo in questo mondo tanto difficile e materialista.
L’intervistato è un attore di fiction e cinema, e alla domanda chi è Michele Boccia, la sua risposta è stata: un ragazzo di 18 anni che abita nel Centro Storico di Napoli che sta per diplomarsi. Dall’aspetto sportivo, semplice e sempre con il sorriso sulle labbra, parla di sé con tranquillità disarmante, che cela però vitalità ed amore per ciò che fa.
Come nasce la tua passione per la recitazione e quando?
La passione è nata da ragazzino e sono riuscito grazie all’appoggio della mia famiglia, che mi ha sostenuto e tutt’ora mi sostiene. Posso dire che tutto è iniziato per caso, per gioco e in modo favolistico 5 o 6 anni fa. All’inizio era tutto così spontaneo; quando ho iniziato tutto sembrava una favola. Nella mia classe elementare c’era una bambina che faceva la pubblicità di Uliveto e Rocchetta, così la sua mamma convinse mia madre a farmi partecipare a qualche provino; e in quegli anni post-vittoria italiana ai Mondiali di calcio, quella pubblicità mi piaceva particolarmente, in quanto adoravo Del Piero, pur essendo tifoso del Napoli, senza contare che con lui appariva anche la Chiabotto (sorridendo). Oggi farei più la pubblicità per la showgirl che per il calciatore! Insomma, convinti e mossi dalla voglia di farcela, mi iscrissi ad un’agenzia di Roma e dopo pochi mesi fui chiamato proprio per il provino per la pubblicità Uliveto e Rocchetta, motivo per cui mi ero iscritto all’agenzia stessa. Per me, era cosa fatta! Il mio obiettivo da ragazzino sognatore era solo quello, ovvero, ero convinto che avrei fatto quella pubblicità. E seppur mi ritrovai a Roma con 50 bambini, ero sempre certo che avrebbero preso me e che il provino era una pura formalità; mentre mia madre, per evitarmi una delusione cercava in tutti i modi di smorzare un po’ il mio l’entusiasmo. Oggi sono consapevole che veramente è stata una fiaba, viste le bassissime probabilità di essere scelto, ma venni selezionato, ed iniziò il mio primo lavoro davanti alla macchina da presa. Le riprese durarono un paio di giorni e girammo a Torino, la città piemontese dei due attori principali: Del Piero e la Chiabotto. Caso volle che a fare la pubblicità con me fu presa proprio la mia compagna di classe e da qui tutto ebbe inizio.Sicuramente i nostri lettori vedranno correlate all’intervista alcune tue foto, quanto favorisce l’essere un bel ragazzo fotogenico e televisivo, al di là della bravura dell’attore nella recitazione?
L’aspetto estetico conta ed incide molto, infatti il mio aspetto mi porta a dimostrare più anni di quelli che effettivamente ho, e questo mi penalizza, perché è un mondo in cui si tende a prendere attori di età adolescenziale o ragazzi maggiorenni ma che ne dimostrano di meno. La motivazione è legata sia ad una questione burocratica che economica. È più conveniente e meno costoso mettere sotto contratto un maggiorenne con l’aspetto di un adolescente, ma questo non mi ha fermato.

Tra le varie esperienze fatte nella fiction e nei film, quali sono quelle che ti sono rimaste nel cuore o che ti hanno dato qualcosa?
Indubbiamente penso che il mio ultimo girato che risale all’estate 2016 e che è andato in onda nel gennaio 2017, cioè la fiction “Dio ci aiuti 4”, dove ero il protagonista per tutta la durata della serie, è stato quello che mi ha lasciato qualcosa, perché è un lavoro che ho fatto con maggior maturità. Avevo 16 anni e quindi l’ho affrontato in maniera diversa rispetto a tutti i precedenti. Non solo era il ruolo più importante e da protagonista che io avessi mai avuto, ma sentivo il grande peso e responsabilità legati ad esempio al misurarsi con attori che fanno questo per mestiere. Realmente non è stato facile, perché per quanto possiamo girarci intorno, la mia resta una passione e tale rimane, per quanto retribuita; non è un lavoro, almeno per ora. Il confronto con la realtà cinematografica è stata sia bella che stimolante, per quanto faticosa. Mi ha insegnato il rispetto per tutti gli altri, e ripeto l’approccio è stato diverso rispetto ai precedenti lavori che rappresentavano un gioco, un divertimento, fatti con molta più leggerezza. Forse è quell’ingenuità, leggerezza e semplicità, nonché la facile capacità di adattamento al contesto, che ha favorito questa mia passione negli anni, anche se proprio questo amore per l’Arte recitativa allo stesso tempo mi ha portato a pormi delle domande, mi ha stimolato a studiare, a chiedermi se ero capace di interpretare ruoli più difficili. Questo è un lavoro stressante, ma anche molto appagante (per come la vedo io).
È un lavoro che farai, continuerai o diverrà e rimarrà solo passione?
È sicuramente una passione che continuerò a coltivare, perché è la mia passione (sorride) e mi piacerebbe portarla avanti. Certo sarebbe ancora più bello poter fare di questo sogno un mestiere, e sono ben consapevole che è un mondo un po’ strano, in cui non sempre vince la meritocrazia, e che quindi c’è bisogno di tanto impegno e coraggio per farlo diventare un lavoro. Ciò significa lanciarsi nell’incertezza e la mia paura è proprio ritrovarmi fra due o tre anni senza essere riuscito ad emergere e allo stesso tempo senza essermi laureato; vale a dire avere un titolo di studio che comunque rappresenta una certezza.
Quindi il Michele giovane, diciottenne, al di là dell’attore, continuerà con la passione ma andrà all’università. Ma cosa sceglie un Michele-attore nel mondo caleidoscopico universitario?
Sono molto coerente nelle scelte che faccio, e sono orgoglioso del percorso di studi che sto per terminare al Vittorio Emanuele, dove ho preferito un indirizzo umanistico, e così al IV ginnasio della vecchia riforma, ho scelto di intraprendere gli studi giuridici. Sarà questo il percorso che intendo intraprendere, ma con l’obiettivo anche di mantenere viva la mia passione. Non si sa mai, Mastroianni lasciò il II° anno di Università per andare a Roma e iniziare la sua carriera.
Hai citato il nome di un grande attore; chi è il tuo mito, semmai esiste un mito, o quali sono i tuoi punti di riferimento tra attori e registi?
Beh, nel tempo ho studiato cinematografia e quindi ho avuto modo di confrontarmi a 360° con la regia, la sceneggiatura ed ovviamente la recitazione, sia teorica che dal vivo sul set quando lavoravo. I punti di riferimento sono tanti, ho sempre nutrito una grande passione per il cinema americano d’autore degli anni 60-70, erede di quello neorealista italiano ed europeo, da De Sica a Fellini, ai nomi di Woody Allen, Scorsese, Coppola, che sono i registi che da sempre apprezzo. Oggi stimo tanto anche Sorrentino e mi sono scoperto, negli ultimi anni, amante di Tarantino, che mi ha portato a conoscere un lato di me che non credevo di avere. Per quanto riguarda gli attori, sicuramente amo De Niro, Al Pacino e Nicholson, che sono sempre fonte di ispirazione. Non ti nascondo che la spontaneità di certi attori nostrani come Antonio de Curtis in arte Totò e Massimo Troisi, ti insegnano a mettere in scena te stesso con semplicità, così come Paolo Villaggio (sottovalutato nel cinema italiano).

Nell’ultimo periodo Napoli è esplosa ed è tornata al centro dell’ombelico del cinema italiano, soprattutto con l’exploit ai David di Donatello: da Napoli Velata fino ad Ammore e Malavita, così tante opere di grande valore incentrate su Napoli o che utilizza la città come vetrina. Come ti poni con questa Napoli diversa, proprio ora che stanno girando anche l’opera l’Amica Geniale? E come vedi anche l’altra cinematografia o fiction di Napoli odiata ed amata come può essere Gomorra?
Ti dico la verità, credo che il cinema sia cinema e rimanga tale. Gomorra è una fiction che ho visto e che ho apprezzato soprattutto nelle prime due stagioni, dove il livello qualitativo ed artistico è, a mio avviso, molto elevato e si avvicina agli standard europei e internazionali. La terza stagione è un po’ romanzata e americanizzata. Credo che Gomorra metta in scena quell’altra faccia di Napoli che esiste e non parlarne sarebbe solo controproducente; anzi è una realtà con cui purtroppo dobbiamo fare i conti, e tacere su questo argomento e far finta che tutto ciò non esista, per parlare solo della bellezza della Gajola e di Posillipo credo sia limitante, non possiamo nascondere. Sicuramente chi si lascia influenzare da Gomorra è una persona che ha capito poco, perché il cinema è cinema, è tale rimane. Anche in America con Scarface si è vissuti la stessa situazione e ai ragazzini delle gang o delle bande americane veniva fatto vedere questo film, perché quello era il modello di gangster o mafioso a cui ci si doveva ispirare, e quindi non è un problema isolato di Napoli. Certamente mi fa più piacere quella Napoli rivalutata degli ultimi film, come con la serie televisiva “I Bastardi di Pizzofalcone”, che in modo positivo ha toccato temi forti dai quartieri alti della città. In realtà mi fa piacere in generale per il cinema italiano che si sta riprendendo il posto che merita e non viene ricordato solo per le imbarazzanti “Commedia all’italiana” degli ultimi anni, che sono più sconcertanti di Gomorra, sia perché di bassa qualità e sia perché tolgono opportunità a giovani registi, scrittori e progettisti che invece dovrebbero e potrebbero essere nuova linfa. In Italia quando si parla di film d’autore si ha quell’idea anacronistica di ‘cinema pesante’ mentre, è un cinema che fa riflettere, che mette in campo quella possibilità di immedesimarsi nell’opera stessa. Forse oggi tale apertura è partita dall’oscar per “La grande bellezza” di Sorrentino.
Come si si riesce a far combaciare un amore con la passione, in questo caso, della recitazione e del cinema?
L’amore, ovviamente ti parlo da diciottenne, lo vedo e vivo come qualcosa di assolutamente straordinario, che cala all’improvviso dal cielo, e senza senso. Questa passione comporta dei sacrifici, come lo stare spesso lontano dalle persone amate, oppure di andare via per un bel po’ di tempo; bisogna saper coniugare un po’ tutto. Credo che un attore non possa non sapere amare, perché recitare, è amore. L’attore deve essere capace di rappresentare una gamma vastissima di sentimenti, ed in un secondo di amare, mentre il secondo dopo di odiare, e poi di provare invidia e così dopo ammirazione; quindi deve essere molto elastico. L’attore se non ha una profonda sensibilità ed una grande profondità d’animo non può riuscire. Credo che questo sia necessario per poter recitare, perché calarsi nei panni e quindi diventare un’altra persona, non è cosa facile.
Mi chiedevo mentre rispondevi, Michele come si vede tra due anni o tre anni, dove sarà e cosa farà?
Vedo un Michele universitario, con un po’ di esami fatti e spero di vedere anche un Michele ancora dentro questo sogno. Mi piacerebbe approfondire ed entrare nel Teatro, con cui sono venuto a contatto attraverso lo studio al Teatro Bracco di Napoli con Giacomo Rizzo, così da inserirmi in questa nuova realtà, che rispetto e che mi affascina, per quanto la televisione e il set cinematografico rimangono il mio habitat naturale. Per me sarebbe interessante sperimentare una diversa forma di recitazione che è completamente diversa dall’altra. E quindi spero di vedere un Michele ancora nella televisione e nel teatro.
Un aggettivo per descrivere Michele?
Testardo, come accezione non negativa ma positiva; perché in questa mia esperienza cinematografica Io sono stato tanto perché ci ho creduto, pur rimanendo con i piedi per terra, ed ho combattuto, andando avanti anche quando non riesci a lavorare per lungo tempo o quando per cause di forza maggiore non vieni scelto o quando purtroppo preferiscono altri a te per motivi che non sono legati alla bravura. Bisogna avere testardaggine, continuare ad andare avanti e credere in quello che per me è stato un sogno.
Hai risposto, in verità, anche all’ultima domanda, e se vuoi aggiungere di tuo qualche altro consiglio ai giovani che vogliono fare il tuo stesso percorso o per chi vuole iniziare ciò che tu stai facendo, quindi oltre alla testardaggine?
Consiglio in generale a tutti quelli che hanno una passione, di non lasciarsi sconfortare, perché purtroppo tutto è complicato, il mondo del lavoro è complicato e si viene messi da parte facilmente. Bisogna fare le proprie scelte e portarle avanti, bisogna avere il coraggio di dire la propria e di scegliere con la propria testa, anche sbagliando.

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