Come nacque la Setta della carità carnale

Nella Napoli del 700 ebbe origine una storia che sembrerebbe uscita dalla penna del Boccaccio. Gli interpreti principali furono: una donna, un prete, un Avvocato

Ruota degli “Esposti” all’Annunziata

Giulia de Marco nacque a Sepino da una famiglia di braccianti. Dopo la morte del padre, venne affidata ad una parente che la porta con se a Napoli. Li Giulia si innamora di uno staffiere, dalla relazione nacque un figlio, ma il giovane l’abbandona e Giulia, in preda alla disperazione, abbandona a sua volta il neonato nella «ruota» degli Esposti dell’Annunziata.

Questa tragedia toccò molto la giovane Giulia che si abbandonò totalmente alla fede tanto che ben presto si guadagnò la fama di santona. Ella voleva seguire con tutto il suo cuore le orme di Orsola Benincasa, (ma con la «divina» Orsola, non aveva proprio niente in comune). La santità di Giulia, o “monaca di casa”, come tutti iniziarono a chiamarla, cominciò a circolare tra le famiglie benestanti che facevano a gara per ospitarla, c’era la credenza secondo la quale attraverso tale gesto le famiglie potessero avere dei meriti presso Dio.

La vita casta e pura di Giulia però ebbe una svolta inattesa quando conobbe padre Aniello Arciero che divenne il suo confessore, che portò ben presto il rapporto con la «santona» dove voleva lui, ovvero ben oltre i limiti imposti dalla morale cattolica e dall’ordine sacerdotale dando origine ad uno degli episodi più scandalosi dell’epoca, che ebbe eco in tutta Europa. Tra Giulia e Don Aniello nacque un’intesa che oscillava tra la spiritualità e l’eros, insomma divennero amanti. Con l’arrivo di un avvocato avido e squattrinato, Giuseppe De Vicariis, la coppia diventò un terzetto, egli intuì che il corpo di suor Giulia poteva trasformarsi in un percorso di fede. Fu’ così che i tre diedero vita alla Setta della Carità Carnale e cominciarono a spiegare a gli adepti che «non tutto era peccato»: soprattutto non lo era  l‘atto sessuale, che, anzi, era una sorta di «estasi spirituale» in grado di avvicinare uomini e donne a Dio come e più di una preghiera e «l’accesso diretto alle parti intime» di suor Giulia fosse per chi vi accedeva, un atto di carità e di misericordia. L’adorazione del corpo e delle sue  parti intime erano considerate le porte del Paradiso. Alcune testimonianze riportano che avvenivano riunioni di dieci donne e dieci uomini che, a lume spento, si accoppiavano tra di loro. L’orgasmo era la manifestazione dell’estasi divina.

La setta cominciò ben presto ad attirare l’attenzione di molti. Tra questi v’era suor Orsola Benincasa. La quale, dopo un incontro-scontro con la Di Marco, mobilitò i potenti padri Teatini convincendoli della natura diabolica dei convegni amorosi organizzati dalla setta. Ma suor Giulia chiese aiuto alla potente Compagnia di Gesù. In città si rischiarono tumulti, tanto che del caso cominciò a occuparsi anche il tribunale napoletano del Sant’Uffizio. Per mettere fine allo scandalo della «prostituta Santa», venerata e acclamata dal popolo, la religiosa fu rinchiusa nel monastero napoletano di Sant’Antonio di Padova, (nell’odierna piazza Bellini), Don Aniello, fu rinchiuso nel convento della Maddalena di Roma, e l’avvocato De Vicariis, arrestato.

La notte del 12 luglio 1615, i giudici del Sant’Ufficio decidono in gran segreto, di trasferire a Roma la «Madre», nella chiesa di Santa Maria della Minerva. Il 9 agosto riportata nella cattedrale di Napoli, la «prostituta Santa», va incontro al suo destino: «Abiuro, maledico, detesto… le suddette eresie, quali dicono, che gli atti carnali, anche con pollutione procurata, non sono peccati…». Per aver fatto abiura non brucerà sul rogo ma, con i suoi complici, verrà condannata a finire i suoi giorni nelle prigioni di Castel Sant’Angelo.

 

Fonte articolo e foto: Lug 4, 2019

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