Oggi qualsiasi cosa viene omologata alle altre. Tutto quello che può risultare ‘ad occhio’ non buono è da scartare, a priori. Pensare che quel risultato deve essere frutto di un tempo determinato, che non può essere facilmente conservabile (coltivabile) comporta un’enorme perdita.

Il rischio è di perdere le nostre radici. Ma siamo sicuri che il bello sia anche buono?

Il termine mastantuono è legato a questa concezione. Si usa spesso in Campania per indicare qualcuno che vuole sembrare buono mentre non lo è. Esso rappresenterebbe il fittizio, colui che ostenta qualità o disponibilità che nella sostanza non ha e quindi viene nella tradizione popolare e contadina riconosciuta e scartata. In verità, l’origine di questa espressione va ricercata in una leggenda che implica diverse e sfaccettature nella sua lettura ed interpretazione.

Vi era un contadino che aveva un albero di pere che nonostante le cure e le attenzioni non dava mai frutti, così decise di tagliarlo. Col tronco uno scultore realizzò una statua di Sant’Antonio che, benedetta, fu sistemata nella chiesa del paese.

Il contadino saputa la notizia si recò in chiesa ed osservando attentamente il suo vecchio albero infruttifero, ora divenuto cosa sacra, esclamò: “Io ti cunosco piro e nun facevi pere, mo’ si Sant’Antonio e vuo’ fa’ ‘e grazie? (altre leggende similari sul Santo sono nel libro Sant’Antonio Abate a Napoli, Culto, Esoterismo e Folcore).

Questa originale storia è collegata alle pere mastantuono che fanno frutti ma che hanno un aspetto poco gradevole, ma nella sostanza sono buone e dolci. La particolarissima varietà di pera viene oggi coltivata solo in alcune zone dell’avellinese, del salernitano e del napoletano.

Esse hanno una polpa morbida aromatica e profumatissima. La loro forma è tonda e piccolina, irregolare e un po’ bruttina, maturano tra fine luglio ed inizio agosto ed è di facile deperibilità. Bisogna raccoglierle semiacerbe per farla durare di più ed è comunque è necessario consumarla in breve tempo. Per questo motivo malgrado la sua pregevolezza nel tempo è stata abbandonata, soppiantata da coltivazioni più vendibili e redditizie.

In questo senso si lega il proverbio o modo didi tre “Me’ pare Mast’Antuono: a’ matine nun se’ fire’ ‘e a’ sera nun sta bbuone”, vale a dire, ‘sembri Mastro Antonio: la mattina non ti senti in forze e la sera non ti senti bene’.

Il significato rifacendosi alle pere indica una persona fannullona, che falsamente ti appare senza forze già di buon mattino e la sera si aggrava e non sta bene. Pari alle pere che appaiono malconce, brutte e se non le si raccolgono e cucinano subito dopo non sono nemmeno buone e dolci. Quindi, sta ad indicare che bisogna accorgersi in tempo che l’apparenza inganna e quindi far lavorare nonostante il finto malato stia con poche forze altrimenti la sera non servirà a null’altro.

Insomma, prima di gettarle o prima darla vinta al bugiardo malconcio, bisognerebbe ricavarne il meglio. Non per altro la saggezza contadina sfruttò quelle per (oggi rarissime) per farne un dolce prelibato così come l’artista fece con il tronco di legno divenuta statua di S’Antuono.

Ecco, di seguito la ricetta delle pere mastantuono che di genere vengono consumate in marmellata o in pasticceria imbottita con ricotta e ricoperta di cioccolata.

1 kg di pere                                               100 g di amaretti tritati

250 g di ricotta                                          2 uova

100 g di mandorle tritate                            canditi a cubetti qb (se graditi)

100 g di zucchero a velo                            Cannella qb

1 essenza di vaniglia                                  Vermouth qb o cioccolato

                                                                                         (cacao 250 gr e zucchero 200gr)

Lavare ed asciugate le pere, tagliare la parte alta (punta/calotta) e metterla da parte. Svuotare le pere creando un bell’incavo al centro mentre in una ciotola si lavora la ricotta con lo zucchero a velo per poi unire le uova, le mandorle, gli amaretti, aromatizzare con la vaniglia e la cannella. Unire i canditi infine se graditi. Riempire le pere con l’impasto, chiuderle con la loro calotta. Sistemare le pere in una teglia da forno avvicinate tra loro, bagnate con mezzo bicchiere di vermouth oppure se lo sostituite al cioccolato: procediamo con la preparazione della salsa di cioccolato versando cacao e zucchero in una casseruola, diluendoli con una tazza d’acqua e a fuoco lento fare addensare. Cuocere in forno statico già a temperatura a 180° per circa 1 ora, finché non sono dorate e ben caramellare. Appena uscite dal forno spolverare con zucchero e cannella. Servire fredde.

Adesso non vi basta che mangiarle, sempre se vi sentite in forze e non siete molto stanchi!

FONTEnapolimilionaria.it, lacucinadianisja.it
Articolo precedenteTelemarketing aggressivo – multa “milionaria” per Vodafone
Articolo successivoEsistono i cibi del buon umore e quelli dell’infelicità?