Mannaggia è già di per sé un’imprecazione, ma senza sconclusionare e cadere nell’imprecazione o bestemmia che scuote gli animi religiosi sensibili. ed anche la decenza per i più laici ed atei ascoltatori. Napoli come sempre può attingere dal popolare e dal folclore, creando veri e propri modi di dire, partendo da imprecazioni od accadimenti storici e generando risoluzioni colorite ma di fantasia e leggende.
L’imprecazione “mannaggia” deriverebbe dal napoletano “male n’aggia” ovvero ‘che riceva del male’ secondo il saggista Galassi, inoltre apre ad un enumerato elenco di espressioni che in Campania si è soliti pronunciare per sfogare perché sta per accadere o è accaduto qualcosa di negativo. Se questa imprecazione si unisce a Pataturco o Sacripante diviene bestemmia comunque, ma nell’unirlo ad un topo o ad un ‘malamente’ ci si salva dallo sboccato. Etimologicamente il termine mannaggia è appunto una deformazione della frase: ma(le)+ n(e)= malanno aggia, di conseguenza mannaggia traducibile in male ne abbia.
Allora ecco che il napoletano trova il suo capro espiatorio in Bubbà. Mannaggia Bubbà… la tradizione ritiene che questo fosse un personaggio senza scrupoli, dedito a qualunque forma di truffa e azione malevola ai danni dei cittadini. Un truffatore che, se esistito o meno non diamo certezza, ha per anni sconvolto il vivere della gente povera e borghese, apportando danni. Quindi questa esclamazione traducibile in ‘male ne abbia Bubbà’ è quasi un anatema all’uomo ladro che portava nelle case o negozi un danno. Da qui a poco questo modo di dire divenne un sostitutivo per maledire un accadimento o preannunciare l’evento nefasto e sostituendo l’imprecazione con una frase se non scuota i Santi in Paradiso.
Altra vittima di questa sostituzione per essere colpito da anatema fu il topolino… il sorcio di casa o di bottega. Mannaggia ‘o suricillo e ppezza ‘nfosa. Traducibile letteralmente in “mannaggia al topolino ed alla pezza bagnata” che descrive l’uso nelle botteghe e nelle case di introdurre pezze bagnate fra la porta ed il pavimento per impedire a piccoli roditori di entrare attraverso la fessura. Una soluzione che però quando veniva superata dal roditore trovando appunto lo straccio spostato, allora la rabbia ricadeva sia sullo stesso che sul ‘ladruncolo’.
Altra lettura invece fa risalire la frase all’usanza in passato dei napoletani che per lavarsi le braccia e le gambe utilizzavano uno straccetto bagnato per eliminare ‘il suricillo’, ovvero la patina grassa sporca su cui il soffregamento produceva il suono simile al verso del roditore. Un’ennesima e più colorita interpretazione è legata invece alla poco innocente scena dell’atto sessuale che non si concretizza. Esso individua con i vezzeggiativi i due ‘sessi’ che non possono incontrarsi, in particolare la pezza richiamerebbe il corredo femminile che bagnato richiama il periodo mestruale e quindi fertile. Tanto che il modo di dire ha avuto nel passato un ceppo tramutatosi in “Mannaggia ‘o piripillo e ‘a pippilosa”. Entrambe le due esclamazioni le ritroviamo in auge nelle opere teatrali di Eduardo De Filippo, la prima con Bubbà nel 1929 nella commedia “Quei figuri di tanti anni” e la seconda col topo e la pezza ne “Questi Fantasmi” del 1946.
Insomma, se il ghigno si crea pronunciando per rabbia Mannaggia… esso poi si addolcisce nel gergo dando la colpa ad un ladro fantastico di nome Bubbà oppure ad uno scaltro Suricillo che non intoppa in una Pezza bagnata.
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