Il terreno è la base dell’esistenza umana. Da esso ricaviamo direttamente o indirettamente il 95% del nostro nutrimento e su esso costruiamo le nostre case e le nostre vita.
Ma, da alcuni anni ormai, il terreno sta vivendo una fase difficile della sua storia.
Cementificazione, urbanizzazione e soprattutto un uso predatorio e incurante dei terreni agricoli stanno portando alla distruzione di una delle risorse più importanti sul Pianeta.
Per formarsi, un centimetro di suolo, può impiegare anche mille anni, ma ne bastano pochi di politiche incuranti per devastarlo.

Le variazioni nella domanda agricola degli ultimi anni, mossa soprattutto dalle industrie di trasformazione e dal settore dell’allevamento, hanno imposto agli agricoltori un passaggio dalla vecchia agricoltura basata su una grande varietà di colture ad un sistema di monocoltura, concentrata quasi unicamente sul mais.
Stretti tra il racket della grande distribuzione, i prezzi esorbitanti delle sementi (peraltro sterili e quindi da riacquistare ogni anno) e i sussidi che in molti Paesi favoriscono solo il mais, gli agricoltori hanno accettato le nuove produzioni o sono andati in bancarotta.
Al loro posto sono subentrati spesso fondi di investimento e grandissimi investitori, che con il fenomeno del “land grabbing” si sono impadroniti di estensioni ampissime con l’unico scopo di rendere profittevole il loro investimento e quindi senza alcun rispetto per il suolo.
Nella sola Europa, al 2014, il 50% dei terreni agricoli era in mano al 3% dei proprietari di terreni; un evidente squilibrio.

Non serve gettarsi nel populismo agrario ottocentesco o nell’ossessione per il km 0 per accorgersi delle criticità che ci troviamo di fronte.
La tecnica in agricoltura non è un mostro da combattere in ogni modo, ma il suo uso va veicolato in modo da rispettare gli agricoltori, il pianeta e in particolare il terreno: perché se già ora milioni di persone muoiono di fame ogni anno, la crisi agricola verso cui ci stiamo lanciando non ha precedenti nella storia.

Ma per tecnica agricola, oltre a quella che libera i contadini dalle mansioni fisiche e psicologiche  più dure ed a quella che permette di risparmiare risorse mantenendo alta la qualità dei prodotti, è importante considerare anche la conoscenza scientifica dell’ecosistema che si forma nei campi e i modi in cui questo può essere usato e preservato.
Con 10 milioni di esseri viventi al suo interno, una manciata di terreno, costituisce di per se stessa un piccolo ecosistema in grado di combattere autonomamente un gran numero di parassiti delle piante. Ciò, tra i vari vantaggi, risparmia agli agricoltori (e ai consumatori) i pericoli e i costi dei pesticidi.
Il suolo è anche il più grande deposito di anidride carbonica di cui disponiamo e, favorire la sua rigenerazione, aiuterebbe moltissimo nella lotta al cambiamento climatico.
Un buono stato del suolo, infine, permetterebbe di evitare problemi di dissesto idrogeologico che tanti danni causano nel nostro Paese e nel mondo.

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