Napoli. L’analisi della Comunità educante

Bilancio di fine anno scolastico

1.Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, improntata informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i principi generali dell’ordinamento italiano.

  1. Appartengono alla comunità educante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché le famiglie, gli alunni e gli studenti che partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali previsti dal d.lgs. n. 297/1994. 3

Così recita l’articolo del CCNL del comparto Istruzione e Ricerca che spiega cos’è una comunità educante.

Fiumi di parole sulla scuola sono state dette e si dicono; ogni governo ci ha voluto mettere mano, spesso peggiorandola. La scuola è al centro di una questione politica perché riguarda tutti.

Nell’ultimo giorno di scuola arriva il bilancio di un anno trascorso a  partire da un’ autocritica: analizziamo questa comunità, nella fattispecie la comunità dei docenti.

Ognuno vive la criticità di una comunità divisa in contrasto tra ruoli e funzioni e appartenenza a comparti diversi.  Di fatto la comunità intera, al suo interno, non persegue gli stessi intenti educativi se non sulla carta. Tante sigle ptof, pdm,  rav intese a dare una linea guida valida per tutti, ma in mezzo ci sono le persone e il loro agire.

Bisogna apertamente dichiarare il fallimento degli istituti comprensivi accorpati per mero fine economico volto al risparmio, che ha forzatamente messo insieme due ordini completamente diversi per struttura e ordinamento e mentalità. Mi fa ricordare l’Europa forzatamente unita, ma basata su culture differenti. Cosa potrebbe unire se non il cuore delle persone che non ha distintivi; invece in realtà c’è ancora una forte incrostazione di chi persegue una linea divisoria che di fatto interrompe l’iter formativo del discente disorientandolo.

Gli educatori, di ordine in ordine, creano subito un distacco sul pregresso ritenendolo inadeguato si persegue la linea, non da tutti per fortuna, del dover destrutturare il sapere in favore di una nuova modalità, una nuova fragile impalcatura. Si sente il bisogno di farsi strada nel cuore dell’allievo facendosi largo tra gli affetti inevitabilmente acquisiti.

Ancora una volta l’alunno si mette da parte in nome di una visione narcisistica individuale che tende a lasciare la propria impronta. L’alunno, in primis disorientato, perché pur frequentando gli stessi luoghi si vede catapultato in una nuova realtà, eppure lui è lo stesso essere umano che a tre anni mette piede in una scuola e ne esce, in un iter regolare a 13 imparando già da allora l’incoerenza del mondo adulto che non riesce a vederlo come unico e uno e a supportarlo nel proprio percorso formativo senza, in ogni passaggio di ordine, dover disconoscere la propria esperienza vissuta in precedenza.

Anche il buon Troisi ci ricordava di dover ricominciare da tre che almeno tre cose buone andavano salvate. Invece si convive in unità educativa che comunità non è, divisa in compartimenti stagni, direi stagnati.

Ognuno disprezzando il lavoro del collega per partito preso e usando un linguaggio dequalificante di proposito: quelli delle medie, quelli dell’elementari, quelli dell’infanzia … quelli non noi della scuola unica pingo pallino rivolta allo stesso bambino per 11 anni di seguito.

Allora di comunitario resta ben poco e la scuola di questo passo disattende il suo ruolo primario di unitarietà d’intenti perseguendo lo stesso fine formativo.

I muri invisibili li vedi nelle assemblee, nei collegi, ogni comparto si stringe in uno spazio prescelto, sempre lo stesso e lo vedi nelle decisioni dove per far parte della micro comunità devi perseguire gli stessi intenti anche se non li si condivide. Le funzioni doppie se non triple: una per ordine tutti allineati e compatti perdendo di vista l’origine che giustifica la propria titolarità.

Persino sul regalo di fine carriera del persona ledi turno ci si divide: quelli delle medie alla loro collaboratrice del piano o collega perché a quella delle elementare o dell’infanzia non ci riguarda ci pensassero i suoi colleghi e viceversa.

Ogni riferimento a persone e a luoghi è puramente casuale ovviamente, ma sono sicura che ognuno che ha conoscenza con la realtà scolastica, si possa riconoscere.

Eppure quando trovi qualche collega illuminato che collabora e condivide un’esperienza formativa per gruppi di alunni misti, allora sì che impari dai ragazzi stessi, che hanno la mente libera da qualsiasi barriera ‘architettata’ ad arte da chi fugge al confronto e soprattutto a rimettersi in gioco, in discussione per reinventarsi a secondo dell’umano che ti si presenta agli occhi.

Lo scibile stesso, che per comodità lo si divide in discipline è unitario così la persona. Per coerenza se non si riesce ad essere comunità per non diventare ‘diseducante’, andrebbe divisa di nuovo per ordine per non illudere l’alunno di trovarsi nella stessa casa che cambia di ordine in ordine le carte in gioco. Oppure auspicherei invece ad un’unificazione reale almeno degli otto anni elementari e medie in un unico ciclo scolastico.

“Che la scuola sia per tutti una finestra sul mondo” sono state le parole del nuovo ministro Bussetti nella lettera di saluto di fine scuola a tutti gli operatori; che sia di buon auspicio ad un’apertura degli orizzonti da parte dell’intera comunità educante per perseguire il fine comune che sia una scuola non solo a tempo pieno ma a tempo di qualità del vivere.

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