Giacomo Leopardi è il poeta per eccellenza, ma conosciamo il vero Giacomo… questo è difficile, ma possiamo comunque conoscere alcuni suoi segreti.

Il suo nome completo era Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro il cognome Leopardi non ha nulla a che fare con il felino, ma è una forma in origine germanica che vuol dire ’amico forte’.

Ad undici anni tradusse il primo libro delle Odi di Orazio ed a quattordici anni scrisse due tragedie la Virtù indiana e Pompeo in Egitto. Sin dalla tenera età, Giacomo Leopardi era affamato di conoscenza. Lo era al punto da imparare da autodidatta il greco antico, l’ebraico e l’aramaico antico, con l’aiuto di una Bibbia poliglotta presente in biblioteca, cosa che gli permise di approfondire sempre più lo studio dei classici. Basti pensare che a soli quindici anni scriveva una “Storia dell’Astronomia”.

Egli, cresciuto con una madre davvero opprimente, Adelaide Antici, per fare una passeggiata doveva chiedere il permesso almeno una settimana prima e finì per rispettare in maniera ossessiva anche i consigli del medico: se gli si consigliava di stare a riposo qualche ora egli finiva per rimanere a letto intere settimane. Nei suoi diari racconta di come Adelaide non lo baciasse mai, neppure da piccino, e di come invitasse lui e i suoi fratelli a gioire di ogni sventura e sofferenza in quanto doni di Cristo.

Non è vero che il suo aspetto fisico gli impedisse una certa autostima, egli era pieno di sé e lo manifestava in pubblico, disprezzando spesso chi lo circondava e attirandosi antipatie. Inoltre, odiava il nome Teresa, a suo dire inammissibile per una donna giovane bella, ed anche per questo ribattezzò l’amata Teresa Fattorini col nome di Silvia.

In realtà le gobbe, quella posteriore sulla spalla sinistra e quella anteriore sul petto, insieme a tutta una serie sterminata di disturbi fisici, sono imputabili a una malattia ancora sconosciuta per l’epoca: la tubercolosi ossea, anche detta “Morbo di Pott”. La malattia gli aveva causato, a parte l’impotenza e i problemi di respirazione, anche una forte ipersensibilità alla luce, che lo costringeva a ridurre il tempo passato all’aperto nelle ore diurne.

Sappiamo che Giacomo Leopardi era molto trascurato nel vestire, i suoi abiti puzzavano sempre di tabacco. Pare che la repulsione per le forme del suo corpo fosse tale da impedirgli anche di lavarsi: i suoi indumenti intimi richiedevano un lavaggio preventivo in casa prima di affidarli alla lavandaia, che diversamente non li avrebbe accettati.

L’infinito

Il poeta compose il suo più famoso idillio a vent’uno anni. L’Infinito è una strofa unica di 15 endecasillabi sciolti in 11 sillabe senza rime, scritta durante il soggiorno nella natia Recanati. In passato è stata definita un’avventura della mente del poeta che su un colle solitario (ermo) e una siepe, che gli copre gran parte della visuale, lo spinge ad immaginare cosa ci sia al di là. Egli descrive uno stato d’animo in cui spicca la serenità derivante dalla contemplazione della natura circostante, ma anche un lieve inquietante confronto con l’eternità (spaura). Le prime stesure dell’Infinito risalgono al 1818, ma poi fu completato l’anno successivo.

Il manoscritto originale viene conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli. Il Colle dell’Infinito si chiama Tabor precisamente come il Montesacro della Galilea dove ebbe luogo la trasfigurazione di Gesù. Particolarità nei 15 versi le “e” (congiunzione) sono ben 64 contro 36 “a” (preposizione).

Il linguaggio del poeta in questo componimento spazia da quello letterario abitualmente, usato nella poesia, a quello colloquiale. Mischiarli è una scelta inusuale per l’epoca, ma Leopardi non riteneva l’Infinito una grande poesia, tanto che nella sua prima edizione non voleva inserirla, era convinto di raggiungere la fama con i suoi canti epici civili.

Ma torniamo alle curiosità della sua persona. Aveva l’abitudine di far colazione il pomeriggio e il pranzo a mezzanotte, e ha lasciato un elenco di 49 piatti desiderati: dai maccheroni alle zucche fritte, dalle pastefrolle alle frappè, dai fegatini alle polpette. Antonio Ranieri scrisse di come Giacomo fosse una vera e propria enciclopedia di stranezze e vizi. Per esempio, faceva colazione nel pomeriggio e pranzava anche a mezzanotte, pretendendo che si cucinasse apposta per lui.

Infatti, è stato il primo a scrivere un verso in onore di un pasticcere Vito Pinto i cui taralli e gelati erano la sua passione e così per un sonetto ha una cuoca Angelina di cui amava le lasagne. Del suo soggiorno a Napoli, la città in cui il poeta morì, egli ricordò “les glaces à la napolitaine”, i tarallucci zuccherati che lo mandavano in visibilio.

Scrisse i famosi “Desiderata“: quarantove cose richieste o desiderate, che compongono la lista dei piatti suggeriti da Giacomo Leopardi a chi si occupava di preparare i suoi pasti:

Tortellini di magro – Maccheroni o tagliolini – Capellini al burro – Bodin di capellini – Bodin di latte – Bodin di polenta – Bodin di riso – Riso al burro – Frittelle di riso – Frittelle di mele o pere – Frittelle di borragine – Frittelle di semolino – Gnocchi di semolino – Gnocchi di polenta – Bignés – Bignés di patate – Patate al burro – Carciofi fritti, al burro, con salsa d’uova – Zucche fritte, ecc. – Carciofi – Fiori di zucca fritti – Selleri – Ricotta Fritta – Ravaiuoli – Bodin di ricotta – Pan dorato – Latte fritto, crema ecc. – Purée di fagiuoli, ecc. – Cervelli fritti, al burro, in cibreo – Pesce – Paste frolle al burro o strutto, pasticcetti ecc. – Paste sfogliate – Spinaci – Uova ecc. – Latte a bagnomaria – Gnocchi di latte – Erbe strascinate – Rape – Cacio cotto – Polpette ecc. – Chifel fritto – Prosciutto ecc. – Tonno – Frappe – Pasticcini di maccheroni o maccheroncini, di grasso o di magro – Fegatini – Zucche o insalate ecc. con ripieno di carne.

Questi i Desiderata, ma la lista prosegue con altre cose apprezzate dal poeta come la crescia (una sorta di piadina), gli scrocca fusi, le frittelle e altre tipicità marchigiane che Leopardi rimpiangeva lontano da casa.

È tanta la sua passione per il cibo che, seppur sappiamo che l’idropisia polmonare è la causa più accreditata della prematura morte di Giacomo Leopardi, così come si legge nel referto ufficiale diffuso dall’amico Antonio Ranieri, nacquero altre ipotesi meno accreditate che parlano di indigestione di confetti o addirittura di colera.

Ma egli definì abominio assoluto per la minestrina. Noti sono i versi che il poeta recanatese le dedica in “A morte la minestra“:

Metti, o canora musa, in moto l’Elicona
e la tua cetra cinga d’alloro una corona.
Non già d’Eroi tu devi, o degli Dei cantare
ma solo la Minestra d’ingiurie caricare.
Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto,
e dirti abominevole mi porta gran diletto.
O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!
Cibo negletto e vile, degno d’umil villano!
Si dice, che resusciti, quando sei buona, i morti;
ma il diletto è degno d’uomini invero poco accorti!
Or dunque esser bisogna morti per goder poi
di questi benefici, che sol si dicon tuoi?
Non v’è niente pei vivi? Si! Mi risponde ognuno;
or via su me lo mostri, se puote qualcheduno;
ma zitti! Che incomincia furioso un tale a dire;
ma presto restiamo attenti, e cheti per sentire:
“Chi potrà dire vile un cibo delicato,
che spesso è il sol ristoro di un povero malato?”
È ver, ma chi desideri, grazie al cielo, esser sano
deve lasciar tal cibo a un povero malsano!
Piccola seccatura vi sembra ogni mattina
dover trangugiare la “cara minestrina”?

FONTElafenicebook.com; tvsorrisiecanzoni
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