Era il 1608 e già da due anni circa era a Napoli, in quella immensa capitale mediterranea, dai tratti incisivi spagnoli ed orientali, ma con il fascino classico che da sempre la distingueva.

Sotto la protezione dei Colonna, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, si era ben inserito nella caotica e ‘popolosa’ città di Partenope. Una realtà quotidiana violente mimica disperatamente popolare che riusciva a trasmettere nelle opere commissionate.

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Cristo alla Colonna, Tiziano

Secondo il resoconto di Giovanni Pietro Bellori questo dipinto fu commissionato per adornare la cappella della famiglia de Franchis nella Chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, probabilmente pagata in anticipo ma poi secondo altri critici, tra questi Roberto Longhi, effettuato nella sua seconda fase napoletana, quando il pittore ripara di nuovo a Napoli scappato via da Malta.

Indubbio che il dipinto, la Flagellazione di Cristo (o Cristo alla Colonna), si concentra nello stesso periodo in cui realizza anche la Resurrezione di Cristo per l’ex chiesa Sant’Anna dei Lombardi (opera andata distrutta con la chiesa).

Questo dipinto ad olio (286×213 cm), oggi conservato nella sala 78 del Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli, è una delle sue opere più travagliate.

La lavorazione fu abbastanza tormentata, infatti, vi sono segni di pentimenti e ridipinture evidenti nella parte inferiore, soprattutto all’altezza del perizoma del torturatore di destra, dove grazie alle radiografie si è rilevata una testa d’uomo (probabilmente il committente), successivamente cancellata.

Cristo è legato alla colonna intorno a lui tre torturatori. Due di questi sono ai lati ed uno chinato alla sinistra. L’aguzzino sulla destra gli lega i pulsi alla colonna (lo stesso del Seppellimento di S. Lucia a Siracusa) e con un piede spinge Cristo e piegarsi, l’altro dalla parte opposta stringe in mano un fascio di verghe, con veemenza anticipando la violenza che userà da lì a poco, mentre con la sinistra afferra per i capelli, il figlio di Dio, piegandogli la testa.

I gesti precisi e lenti ci proiettano nello sfondo del quadro creando due posizioni, due strati di tempo ben precisi, per ritrovarci in primo piano, dove il terzo uomo, chino è impegnato a preparare l’altra fascina per frustare. Punto chiave dell’artista è porre sulla testa del condannato la corona di spine, a sottolineare l’aspetto sofferente del Christus Patiens, dagli occhi chiusi con la testa piegata da un lato, un atteggiamento di vera rassegnazione al dolore e al compimento del proprio destino.

Il corpo luminoso e robusto di Gesù sembra accennare a un movimento danzante che riecheggia la pittura manierista e che contrasta con i movimenti strozzati e secchi dei suoi carcerieri. È una rappresentazione non convenzionale della realtà umana e naturale, un modo nuovo di fare pittura, bloccando il momento crude nei contrasti netti di luci e ombre. Frammentando i corpi in movimento nella loro tensione più drammatica, sia del corpo e sia psichica, emotiva, sentimentale.

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Flagellazione
Sebastiano del Piombo

In questo sfondo nero, in cui i copri vengono fuori dall’ombra e i tratti fisici vengono definiti, ridisegnati ed evidenziati dalla luce quasi accecante sottolineando con grande drammaticità l’evento che il dipinto racconta.

Una luce che da sinistra invade e scopre la scena nella sua crudezza viscerale e spirituale, mentre una luce calda sembra risalire o scende sulla colonna (che secondo la tradizione si identifica in una del chiostro piccolo della chiesa dei Girolamini a Napoli), chiaro richiamo ai Colonna che lo aiutavano, secondo alcuni storici.

Il significato dell’opera così brusco e monumentale ma al contempo anticlassico soprattutto rendendo l’aguzzino in atto di legare il flagello un’ombra che caliginosa consuma la luce divina, il corpo perfetto torturando visivamente anche l’immagine di Gesù.

È un periodo in cui Michelangelo Merisi sceglie di adottare una soluzione più convenzionale e meno stridente coi canoni della pittura religiosa, rifacendosi al dipinto dello stesso soggetto eseguito da Sebastiano del Piombo nella chiesa di San Pietro in Montorio a Roma. Numerose sono le fonti iconografiche a cui si è ispirato, che vanno da Michelangelo a Federico Zuccari, da Girolamo Romanino a Simone Peterzano, fino al Cristo alla Colonna di Tiziano.

Questi corpi muscolosi e possenti ma leggiadri nella plasticità appartengono alla fase matura del pittore, residui delle ultime opere romane. Questo emergere dal fondo scuro e colpite violentemente dalla luce che le fa apparire bloccate nel loro movimento sono l’emblema del Caravaggio che lotta dentro di sé.

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Flagellazione,
Simone Peterzano

Raffinato anche l’uso della sobria gamma cromatica basata sulle terre, la compattezza con pennellate larghe e corpose e la scelta di magnificare con la luce il torso, anatomicamente classico, di Cristo indubbiamente che ha come fonte d’ispirazione il mondo dell’antico e Michelangelo.

Il raggiungimento della drammaticità corrompendo il tempo e fermandolo con una luce scenica e spirituale, in cui il pensiero va alla crudezza dell’accadimento e alla psicologia dei personaggi dipinti, ma di queste siluette che come spiriti vengono consumati dall’oscurità in cui ritorneranno alle loro spalle, vince il dolore, la purezza del Salvatore, quella rassegnazione che soffre nuda, semplice e pura diviene un nodo alla gola creando di quello spasmo inziale nel vedere il dipinto per la prima volta una realtà che permane aggrappata al cuore di ogni spettatore.

fonti: Caravaggio di Roberto Longhi; i Grandi Maestri Caravaggio Laura Bartoni;
FONTEwikipedia; wikipedia commons; Caravaggio di RLonghi; IGrandiMaestriCaravaggio;
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