Il palazzo Diomede Carafa si trova in via San Biagio dei Librai e nasce nel XV secolo, con un restauro come riporta nell’epigrafe latina, datata 1466.

Secondo il Chiarini, che riprese notizie di Bernardo De Dominici, il progetto fu affidato a Masuccio Secondo con lo scopo di una residenza per ospitare i reperti dell’antichità rinvenuti nella città. In verità vengono avanzate altre teorie: Angelo Aniello Fiore, scultore e architetto, lavorò con i Carafa per lungo tempo e realizzò un sepolcro alla famiglia nella chiesa di San Domenico e forse si occupò anche del palazzo.

Il palazzo passò al figlio di Diomede e successivamente, poiché i conti di Maddaloni non ebbero eredi, divenne proprietà del ramo dei Carafa di Columbrano, che lo ristrutturarono riportandolo ai vecchi splendori dopo anni di abbandono. Dopo la morte della duchessa Faustina Pignatelli, moglie di Francesco Carafa di Columbrano, il palazzo ritornò di nuovo nell’oblio e nel 1815 venne acquistato dai Santangelo che arricchirono il museo privato. Oggi il palazzo è diviso in condomini.

Il “palazzo a blocco” è privo di partizioni verticali ed interamente rivestito da bugne grigie e gialle che si alternano tra loro, si caratterizza dalla facciata con finestre trabeate del secondo piano “nobile” e per il grande portale quadrato in marmo bianco, simile a quello di palazzo Petrucci. Sull’architrave, sorretto da mensole laterali e che sostiene i busti degli imperatori Claudio e Vespasiano, si trova una corona rotonda di foglie di alloro che sporge sul piano liscio, nel fregio i simboli della famiglia, ovvero, lo stemma e la stadera. Al entro dell’architrave vi è una nicchia con il busto di Ercole, mentre sui due vertici alti dell’edificio, infine, sono scolpiti i volti di Diomede Carafa e di sua moglie.

La parte più interessante del palazzo è la Testa di Cavallo trovata, secondo alcuni, nella zona della guglia di San Gennaro, mentre per altri la statua bronzea fu donata da Nerone al pubblico napoletano per le sue delizie e ritrovata in qualche scavo quattrocentesco; tuttavia la teoria più accreditata è quella che sia stata donata da Lorenzo de’ Medici a Diomede Carafa che la collocò nel cortile dove rimase fino al 1809, quando l’ultimo principe Carafa di Colubrano la donò al Museo Archeologico Nazionale (alta 1,75 m), sostituendo l’originale con una copia in terracotta. L’opera è di Donatello, databile tra il 1456 e il 1458.

L’immagine stessa della testa fu ritenuta in passato, parte di un gruppo di statue equestri andate distrutte nel 1322, costruite con un sortilegio da Virgilio (il poeta) che per lungo tempo, soprattutto nel medioevo, fu ritenuto mago. Questa testa di cavallo avrebbe la capacità di guarire altri cavalli, feriti i combattimenti, corse e giostre oppure per chi l’utilizzava per lavoro come trainanti carrozze (da Matilde Serao ne le ” Leggende di Napoli“),  La stessa scultura, invece, in tempi più recenti viene raccontata sotto forma di leggenda nera, ovvero si crede che in piena notte è possibile sentire il nitrito di un cavallo nel cortile del palazzo Diomede Carafa, che l’ospita e che addirittura i suoi occhi si illuminino come infiammati, di rosso. Altre persone del popolo raccontano si sentire sulla strada in cui si trova il rumore di zoccoli in piena notte e qualcuno racconta che appare improvvisamente un cavallo di creta o nero che corre tra le strade, infuriato e libero.

Sicuramente, oggi nel Museo riposa tra altrettante statue di gran valore e più antiche, e nessuno ha sentito nitrire il puledro… ma qualcuno ha parlato di spirito vagante tra le sale.

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