Se il compianto Pino Daniele cantava: …“E aspiette che chiove/L’acqua te ‘nfonne e va/Tanto l’aria s’adda cagna…” e rendeva la pioggia non il classico momento uggioso, ma un romantico pensiero poetico ed un’istante d’amore, nella tradizione ‘a scaricata d’acqua’ è un tormento per la città del sole. Quante volte avete pronunciato ‘questa esclamazione’ nel pieno autunno che non ci ha lasciato un attimo di tregua… sempre utilizzando terminologie e modi di dire partenopei: nun ha levate acqua ‘a terra?

Sta arrivanno ‘o pata pata ‘e ll’acqua!” è per un napoletano il preannuncio di un prossimo temporale, che si addensa all’orizzonte. Le nubi scure prendono il sopravvento, il vento soffia e gelido raffredda l’aria, il terriccio inizia a traspirare odori madidi e ferrosi. Questa espressione onomatopeica, gioca con termini incalzanti e il suono completo è lui stesso ritmico, richiamando nell’immaginario un prorompente evento. Il tutto regge sull’uso delle parole ripetute ‘pata pata’. L’origine etimologica risale al termine greco antico “parapatto”, che viene tradotto in ‘spargere tutt’intorno’. Molti altri studiosi invece lo fanno risalire al suono onomatopeico della pioggia che batte sul terreno: pat pat. In verità vi è anche una versione, poco accreditata, che fa riferimento alla traslazione partenopea del Padre del padre dell’acqua, solo perché nel dialetto il padre viene pronunciato e scritto ‘pate’, soprattutto quando tra gli antichi e nel pieno del Medioevo il pata pata ‘e ll’acqua era visto come purificatore, ‘ripulitore’ e liberatore dai peccati e dalle iniquità.

Eppure l’acqua è sempre stata vicina all’uomo con la terminologia di identificazione della persona, ad esempio se si vuole indicare in modo ironico una persona che versa in uno stato di enorme povertà o che va a picco (come una barca o feluca bucata) si usa dire: “fà acqua ‘a pippa” ovvero la pipa fa acqua opposto al fumo. L’immagine fa divertire e soprattutto non offende, non risulta offensivo o denigratorio. Essa fa riferimento all’uso di una pipa vecchia di legno che nel tiraggio di fumo, quando viene accostata alla bocca, inumidendola bagna il tabacco e perde.

In verità, si chiama “pipa” anche una piccola botticella spagnola nella quale si era soliti conservare liquori in casa, nelle antiche case napoletane era di grand’uso. E quindi chi era povero, in sostituzione dei liquori riempiva la botticella, ovvero la pipa, di acqua. Quindi ben indica la povertà. Vi è una versione particolare, alcuni napoletanisti, identificano la ‘pippa’ (dialettalmente parlando) nell’organo maschile, che oramai vecchio e malandato non sarebbe più adatto all’uso riproduttivo e produrrebbe solo ‘acqua’.

Certo è che l’acqua a Napoli se ristagna puzza sicuramente creando disagio. “L’acqua ca nun cammina o cheta, fa pantano e fète.” Traducibile in l’acqua che non scorre, ristagna e immancabilmente poi puzza, e figurativamente è come quando chi sta zitto e non partecipa, ma trama nell’ombra, prima o poi uscirà fuori con la sua puzza procurandoti danno.

Abbiamo per concludere “È acqua che non leva sete”, si dice di qualcosa che non produce nessuna soddisfazione.

Insomma, non possiamo dire che l’acqua non possa essere un elemento che descrive l’uomo e il napoletano… che l’acqua fuoriesca da una ‘pippa’ o che essa quando è cheta fa pantano e puzzi… è un’acqua che non possiamo riutilizzare e che soprattutto non toglie sete, quindi non possiamo sperare che venga ‘nu pata pata ‘e ll’acqua e non se leva ‘a terra!

fonte foto: wikipedia

Titolo dell’opera: Carlo Brancaccio, Napoli Via toledo, impressione di pioggia, 1888-89 ca

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