Napoli.

In questi giorni ho letto tanto sul concerto evento tributo a Pino Daniele a tre anni dalla sua scomparsa. Non entrerò nel merito, già ampiamente trattato, criticato o osannato, vedendolo però ho colto la genuinità di chi ha voluto ricordarlo perché incontrato, conosciuto, perché Pino Daniele era una persona speciale.

 Non ho mai incontrato personalmente Pino, se non ai suoi concerti a cui ho assistito più volte, ma Pino era di famiglia. Pochi personaggi dello spettacolo diventano persone di famiglia e lui per me era un fratello; uno che ha avuto il grande merito di esprimersi per me regalandomi in nota i miei sentimenti.

Ha accompagnato la mia crescita da adolescente a donna; la sua musica è stata la colonna sonora della mia vita, in particolare ha segnato le mie estati degli anni ’80 che corrispondevano alla mia spensieratezza, ai primi amori, alle prime delusioni e comunque a tempi felici. E come me tutti quelli della mia generazione e oltre.

Anche i miei figli sono cresciuti con con la sua musica di sottofondo, a casa, in auto ne fanno parte e viceversa.

Ai suoi funerali tre anni fa c’ero a piazza Plebiscito, la sua piazza simbolo che lo ha visto protagonista della sua musica. Con me c’erano tantissimi e la cosa che porterò dentro è  i rumore assordante di un insolito silenzio nonostante la piazza fosse gremita a dismisura: padri con figli, ragazzi, anziani, intere famiglie.

Un silenzio per il  rispetto per quell’anima andata via troppo presto. E quando il silenzio è stato rotto dalle note e dalla voce straziante di Pino con ‘voglio o’mare’ ho pensato che è ingiusto che lui non possa più osservarlo e raccontarlo e che noi che ancora possiamo abbiamo il dovere di osservarlo ancora e coglierne le sfumature, magari ascoltando la musica di Pino.

Sicuramente Pino ha segnato un’epoca ed un confine di passaggio della canzone napoletana, effettivamente come è stato detto da Vincenzo Salemme al concerto c’è un Prima Pino e un Dopo Pino. La sua musica ha cominciato ha parlare di Napoli anche ai giovani, è riuscito a tramutare una città in musica cogliendone tutti gli aspetti.

Ha sublimato la lingua napoletana a lingua universale straniera non associata alla melodia classica, pur di gran valore, ma le ha dato ritmo, vita, contemporaneità. L’ha resa ancora più universale e ha parlato a tutti.

Pochi artisti hanno saputo cogliere Napoli e le sue contraddizioni in modo genuino non filtrata da stereotipi se non un profondo amore per questa città a lungo bistrattata. Lui l’ha saputa raccontare. Ascoltando le sue parole e la sua musica intrisa di blues e altre contaminazioni tutte passate per questa città.

Tutto è unito, le mura di questa città, i vicoli, i volti  trasudano le sue note ne fanno parte, la raccontano come la sua anima è. Chi la vive questa città non può non amarla e amare la sua trasposizione in musica.

Tornando a casa da quella triste sera del suo funerale per  tutto il percorso mi ha fatto compagnia la sua musica: non c’era, bar, finestra, esercente che non facesse echeggiare a palla le sue canzoni. E così nei giorni successivi e ancora oggi ne senti l’eco.

Non c’è da preferire l’una ad un’altra ognuna è uno scrigno di emozione e sentimento: il sentimento di appartenenza ad una cultura profonda, nostalgica, ma di quella nostalgia che fa bene al cuore.

Grazie Pino, fratello, mio simile, che hai dato voce e suono alla nostra anima napoletana  e sai confortarci, rallegrarci, intristirci in definitiva ci fai sentire vivi!

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