L’isolamento auto imposto.

Una pratica adottata da vari tipi di individui, sia per motivi religiosi, come le suore di clausura e gli anacoreti del Medioevo, sia per fuggire da un mondo in grado solo di ferire chi è dotato di grande sensibilità, spingendolo a comportamenti asociali, ad esempio gli “otaku” giapponesi, o perché la società, incapace di comprendere il singolo individuo, lo spinge all’emarginazione e, a volte, ad azioni criminali che portano alla morte di innocenti, e le numerose sparatorie nei licei americani lo testimoniano. Ci sono persone che, a volte, fuggono dal luogo dove vivono perché si sentono traditi dal loro Paese e decidono di isolarsi per non avere niente a che fare con tali azioni. E’ a costoro che il regista Gabriele Salvatores si è ispirato per il suo capolavoro, Mediterraneo, da lui diretto nel 1991.

Giugno 1941: un gruppo di militari italiani, comandato dal tenente Montini, ma che in realtà è un’armata Brancaleone al cubo, composta da superstiti e da scarti dell’esercito, approda su un’isoletta dell’Egeo per compiti di controllo marittimo. Gran parte del team, per via della presenza di donne, vecchi e bambini, sotto la guida del sergente maggiore Lo Russo, finirà per darsi alla pazza gioia e trascurare i propri compiti, anche se l’unico a combinare cose buone sarà Farina, l’attendente di Montini, che sposerà una donna del luogo.

Tre anni dopo, nel 1944, verranno a conoscenza dei cambiamenti intorno a loro: la fine del fascismo, la Repubblica di Salò e l’Armistizio con Inghilterra e Stati Uniti, e saranno costretti ad abbandonare il loro “paradiso” ad eccezione di Farina, che vi rimarrà con la moglie. Solo molti anni dopo, tre di loro si rincontreranno: Montini, tornato sull’isola per rivedere Farina anziano e vedovo, avrà la sorpresa di rivedere anche Lo Russo, che ha scelto di vivervi gli ultimi anni della sua vita, dopo aver visto l’incapacità di rinnovamento che doveva portare a qualcosa di nuovo.

Mediterraneo – un film sulle delusioni di una generazione.

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