Mario Bava

Un artista completo senza il quale il cinema italiano non avrebbe conosciuto la stagione che lo ha consacrato in tutto il mondo, e un individuo che ha posto le basi per svariati generi nel nostro paese (il giallo all’italiana con La Ragazza che Sapeva Troppo – 1963, gli spaghetti western comici con Roy Colt & Winchester Jack – 1970, gli slasher con Reazione a Catena – 1971, il pulp con Cani Arrabbiati – 1974).

Ma è stato nel 1960, dopo una gavetta nella quale aveva ricoperto ruoli come regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e creatore di effetti speciali (per quest’ultimo è ancora oggi ricordato all’estero, soprattutto in America) che realizza l’opera per la quale è ancora oggi ricordato, il “gothic horror” La Maschera del Demonio, un film ispirato al racconto Il Vij di Gogol’ (che tratteggia la figura del vampiro in maniera inconsueta e differente rispetto alla sua interpretazione classica).

Attraverso una magistrale sequenza iniziale che precede i titoli di testa (facendo da prologo alla vicenda) si assiste al supplizio della strega Asa che, dopo essere stata marchiata a fuoco come strega, maledice la sua casata e tutti i suoi discendenti per averla denunciata, per poi essere seppellita nella cripta di famiglia con una maschera inchiodata sul volto (in una atmosfera affascinante, incastonata in un tenebroso bianco e nero).

200 anni dopo, i dottori Thomas Kruvejan e Andrej Gorovek (finiti per sbaglio nel loro del suo “riposo finale”) distruggono accidentalmente il sigillo posto sul coperchio della sua bara, permettendole di tornare dal mondo dei morti per potersi vendicare dei suoi discendenti.

Con questa produzione Mario Bava mostra i punti di forza che diventeranno i suoi cavalli di battaglia: una narrazione tanto fluida ed essenziale quanto ricercata e potente, inquadrature che mostrano un’efficacia pittorica assolutamente riuscita, piani sequenza avvolgenti ed esplorativi dell’ambiente nel quale viene raccontata la storia.

Un horror che mostra come tale genere andrebbe sviluppato al giorno d’oggi, e che riesce a reggere benissimo con le produzioni orientali, votate alla suspense e al “brivido” psicologico (che ormai è trascurato da troppi registi moderni).

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