Nun me chiamate cchiu’ ronna Sabella, chiammàteme Sabella sbenturata. Aggio perduto trentatrè castella, la Puglia chiana e la Baselecata. Aggio perduto la Salierno bella, ch’e’ lo strazio re sta resgraziata”.

Con queste parole cariche di disperata malinconia sembra volgere al termine la tormentata vicenda di Isabella Villamarino, figlia di Bernardo, conte di Capaccio e di Altavilla e Gran Ammiraglio del Regno, protagonista suo malgrado di una esistenza travagliata, allietata certamente dai privilegi della nobiltà, dall’amore intenso e tenero per il proprio coniuge, eppure costellata da una lunga serie di episodi sfavorevoli, che hanno avvolto nel corso dei secoli la sua figura in un alone di misteri e di leggende, cui molto ha contribuito anche la tradizione popolare.

Nata a Napoli nel 1503, Isabella va in sposa appena tredicenne, col consenso del Re Ferdinando II, a Ferdinando Sanseverino, detto Ferrante, principe di Salerno ed erede della nobile casata, anch’egli giovanissimo e rimasto orfano in tenerissima età, quando fu adottato dallo stesso Bernardo, padre di Isabella, che ebbe per lui un vero e proprio amore filiale, consentendogli tra le altre cose di completare lo studio e l’apprendimento del greco e del latino.

La coppia fin da subito sembra mostrò un interesse spiccato per le arti e la cultura, circondandosi, soprattutto presso la corte salernitana, di una vasta schiera di artisti, letterati, umanisti e scienziati, con una particolare predilizione per la musica, il teatro e le lettere, tanto che lo stesso Ferrante, oltre ad essere un valoroso soldato, si era cimentato con la musica in particolare, componendo diverse canzoni che furono molto apprezzate anche presso la corte del Re di Francia, fin dal suo primo soggiorno. Isabella, invece, divenne ben presto una delle donne più note della sua epoca, celebrata non solo per la propria bellezza e per la grazia del suo viso, ma anche per la cultura e l’intelligenza che la caratterizzava, tanto che a lei fu addirittura dedicato un libro, Gli Amori, scritto dal poeta Bernardo Tasso, padre del piu’ famoso Torquato, ed all’epoca segretario di Ferrante Sanseverino.

Il loro amore e la passione per la cultura si sviluppava però in un momento particolarmente inquieto per il Regno di Napoli, gravemente turbato dai disastrosi effetti dell’Inquisizione, che non tardarono a coinvolgere direttamente la figura di Ferrante, reo di aver accolto le istanze del popolo contrario ad un governo ostile e spietato e di aver ospitato presso la sua corte personaggi aventi idee reazionarie; tutto ciò si tramutò nel forzoso e definitivo esilio a cui lo stesso Ferrante fu costretto presso il re di Francia Enrico II, per sfuggire alle persecuzioni del vicereame spagnolo, e dove trovò la morte nel 1568, senza peraltro poter ricevere il conforto dell’adorata moglie, alla quale dedicò lettere poetiche in cui si cantavano il dolore per la separazione e la infinita malinconia causata dalla lontananza.

Fin qui la vicenda storica dei due coniugi, la quale però venne ampiamente rivisitata e romanzata dalla tradizione popolare; una leggenda infatti, ambientata presso l’antica colonia greca di Elea/Velia, nel Cilento, dove i due tra le altre proprietà, possedevano la Torre detta di Castellammare della Bruca, ubicata proprio nel luogo dove sorgeva un tempo l’Acropoli dell’antica colonia, raccontava che Isabella, dopo la fuga del marito in Francia, si fosse rifugiata in Cilento per sfuggire alle insistenti ed insolenti avances del vicerè don Pedro de Toledo, deciso a rovinare per sempre l’immagine e gli interessi economici della nobile ed antica casata.

La vita tranquilla e dedita alla contemplazione dello spettacolare paesaggio circostante fu sconvolta bruscamente una mattina, quando Isabella venne prontamente informata da un gruppo di armigeri dell’avvicinarsi minaccioso di un gruppo di navi nemiche che sventolavano il tanto temuto simbolo della mezzaluna, corrispondente ai saraceni, agli infedeli, che tanti lutti e stragi avevano nel corso dei secoli seminato lungo quelle coste; Isabella però non si perse d’animo ed ordinò di attaccare le navi nemiche, le quali ben presto, capitolarono al fuoco nemico… e solo una di esse prima di affondare fece in tempo a mostrare il vessillo dei Sanseverino.

Ferrante infatti, con un arguto stratagemma, era riuscito a sottrarsi all’esilio ed a ritornare presso l’amata consorte, la quale per un tragico errore, ne aveva causato la morte; devastata dal dolore, Isabella, o Donna Sabella secondo la tradizione popolare, si narra si fosse gettata dal punto più alto della Torre ma, prima di cadere al suolo, la sua anima fece in tempo ad incarnarsi in una civetta che, nelle sere d’estate si aggira ancora oggi tra le mura del castello, ed il cui lamentoso canto sembra benedica le coppie che hanno ancora oggi il privilegio di poterlo ascoltare.

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Dott. in Beni Culturali presso l’Università di Salerno-Fisciano con tesi in archeologia medievale. Nel 2018 consegue l’abilitazione per accompagnatore e guida turistica. Ha scritto e pubblicato articoli su una testata giornalistica artistica e attualmente lavora da libero professionista come guida turistica.