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Caravaggio e la Canestra di frutta allegoria dell’esistenza umana

La rivoluzione della natura Morta e la spiritualità simbolica

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Quando si parla di Natura Morta, si tende la raffigurazione pittorica di oggetti inanimati. Nei secoli si è partiti dalla ritrattistica di frutta e fiori, per poi riprendere oggetti vari: strumenti musicali, bottiglie, animali morti (pescato, cacciagione) o tipici prodotti in tavola.

Come genere autonomo dobbiamo attendere l’inizio del XVII secolo, tuttavia troviamo esperienze figurative più antiche, come il Seicento che riporta una nuova lettura. In epoca ellenistica si potrebbe far risalire a mosaici del II e il III secolo a.C. chiamati ‘asarotos’ (casa non spazzata) o ‘xenia’ (doni augurali agli ospiti), che richiamavano nel primo caso resti di cibo che caduto da tavola era destinato ai famigliari defunti, mentre nel secondo caso potevano rappresentare doni di benvenuto agli ospiti. Nel Seicento artisti come Caravaggio rievocano l’autorità del mondo ‘classico’ per ridare la dignità ad un genere ritenuto minore.

La Canestra di frutta di Michelangelo Merisi, che è esposta presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano, è un’opera giovanile. Commissionata nel 1598 dal cardinale Borromeo per inserirla nell’edificio che da poco aveva fatto costruire e che corrisponde alla Biblioteca Ambrosiana.

Il neo cardinale arcivescovo di Milano Federico Borromeo menzionò il dipinto anche nel volumetto intitolato ‘cardinale’ che documenta, appunto, la sua collezione. Caravaggio dipinse la Canestra tra il tra il 1594 e il 1598 all’età di circa 23 anni e forse quella che presentò al cardinale non era questa, che invece piacque asl committente.

Grazie ad indagini radiografiche si è scoperto che il pittore utilizzò una tela di recupero, dove si intravvede un genio alato al posto del cesto, e che questa, secondo gli storici, sia di un amico dell’artista, Prospero Orsi conosciuto anche come Prosperino delle grottesche. Lo storico Roberto Longhi a considerarla un’opera autonoma e non un pezzo di tele tagliata da un dipinto più grande come si pensava in passato. È un dipinto di modeste dimensioni, 31 x 47 cm, realizzato da Caravaggio con colori ad olio su tela.

Al centro del dipinto è raffigurata una canestra di vimini intrecciata che al suo interno contiene frutta di vario genere. Alcuni grappoli di uva bianca e di uva nera sporgono verso il basso nella parte centrale, sul lato sinistro un limone ed una mela bacata, al centro si incrociano una pera e un fico anch’essi corrotti, a dividere verso destra una foglia verde con due fichi appoggiati, mentre un’altra foglia morente si attorciglia su sé stessa, in ombra uva rossa. Al centro scendendo verso sinistra altra frutta in deperimento. Un trionfo di rami secchi e foglie, bucate dagli insetti, rendono particolarmente monumentale la scena. Lo sfondo è privo di dettagli e ricorda una parete intonacata, mentre la cesta in vimini è posata su di un piano di legno che corre parallelo allo sguardo dell’osservatore.

Nel dipinto prevalgono colori caldi e la composizione cromatica è condizionata dal giallo ocra dello sfondo, in controluce alcune foglie assumono tonalità di verdi molto scuri creandone un effetto di bidimensionalità, che grazie all’illuminazione diffusa, ci rivela ogni particolare presente sulla superficie della buccia dei frutti. In questo caso si riesce a creare una efficace illusione di tridimensionalità e solidità delle forme, unita alla scelta di posizionare il punto di vista basso, dove lo sguardo dell’osservatore è nella stessa posizione del piano. La canestra sporge leggermente dal piano sul quale è appoggiata ad evidenziarlo è l’ombra proiettata in basso, ricoprendo il ruolo definitivo di soggetto realistico.

La precisione della rappresentazione e l’attenzione al dettaglio si avvicina alle opere fiamminghe, dipinti con una tecnica attenta e quasi iperrealistica, ma risente degli insegnamenti del maestro Cavalier d’Arpino. Eppure si può dire che per la prima volta la natura nella sua corruzione diventa protagonista. Qualcuno potrebbe obiettare che non vi è realismo, in quanto vi è la presenza di frutti di stagioni diverse.

Ma in verità il dipinto è si può considerare una allegoria sulla precarietà dell’esistenza umana. In questa opera l’artista celebra l’imperfezione della natura e la eleva a poetica artistica, paragonabile nella scelta dell’ultimo uomo-donna nella vita che diviene nelle sue opere successive santo o Vergine Immacolata. Egli supera il concetto rinascimentale di Natura Morta, dove appaiono tra i particolari di dipinti, come ornamento; oppure nelle tarsie e quindi si riservava solo alla figura umana la dignità di un soggetto elevato nell’opera stessa.

Nel dipinto del Merisi ben forti sono le due tendenze storico-artistiche; sia quella di tardo-manierismo che esprimeva l’interesse degli artisti verso le raffigurazioni della natura e sia l’elevazione a soggetto del dipinto di un elemento che prima era contorno al ritratto.

La leggera sporgenza della base della canestra oltre il piano e le imperfezioni della frutta sono particolari simbolici, e ci ricordano come la vita sia in realtà imperfetta e precaria. Così la presenza di frutti bacati o intaccati dalle malattie diviene il simbolo della “vanità” dell’esistenza umana che nel suo richiamo alla caducità della vita, è il bene effimero destinato a svanire nel tempo. La frutta divenuta la protagonista ora si presenta fresca e fragrante, florida e matura, così fragile al punto da essere subito intaccata, in una cornice di foglie, verdognole, argentee e rinsecchite, una vera metafora puramente esistenziale che richiama anche la cristologica esistenza.

Così la brevità della giovinezza e la matura età si sommano nel cesto in pieno simbolismo. In questa visione la frutta sia essa toccata o fresca rientra nel valore della provvidenza divina, che dona e che lascia poi avventurarsi nel tempo: tra germoglio e maturazione seguendone il ciclo fisico-umano. Qui l’ “inferior natura“, come scrive il marchese Vincenzo Giustiniani nel “Discorso sulla pittura” la canestra e la frutta vengono dipinte per svago e per personale sollazzo.

Non siamo ovviamente con gli sfondi bui e la luce che diviene realmente protagonista indiscussa della tragedia umana e spirituale nel dipinto, ma quest’opera preannuncia la grandezza di Caravaggio come rivoluzionario autore di un dramma e di una rivoluzione che diverrà segno tangibile della storia dell’arte italiana.

fonte ph: wikipedia

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