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Un Vita Violenta

Quando si è costretti a sopravvivere

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La Povertà.

Una condizione di scarsità materiale, che si riferisce alla condizione di singole persone o collettività umane, che si ritrovano ad avere – a causa di ragioni economiche – un limitato o mancante accesso a beni considerati essenziali e primari – come pure a servizi sociali d’importanza vitale – finendo in una condizione di miseria.

La “cosiddetta” condizione di povertà – come viene definita oggi – avrebbe iniziato a delinearsi con l’avvento della civiltà urbana, quando le società primitive – basate su un’economia di sussistenza – furono in grado di soddisfare i bisogni primari senza dover ricorrere a particolari differenziazioni socioeconomiche, attraverso un impiego di energia per la sopravvivenza che risultasse adeguato alle loro necessità.

Proprio la decisione di giudicare povere le società tribali è da imputare alla tendenza dell’attuale società capitalistica a voler valutare – tramite i propri valori e criteri – tutte le altre società, portatrici di valori diversi, mettendola in connessione con il concetto che è la stessa ricchezza – all’interno di un ambito di natura industriale – a produrre i poveri.

Nel nostro paese, i luoghi di maggiore concentramento di “persone povere” sono le periferie e le borgate – tramutatesi, nel corso degli anni, in veri e propri ghetti – dove la lotta per sopravvivere alla fame può portare alla delinquenza, conducendo alla degradazione fisica e morale fino ad arrivare a comportamenti violenti e animaleschi.

A trattare un tema così “difficile ed ostico” ci provò, nel 1959, Pier Paolo Pasolini nel romanzo Una Vita Violenta che tre anni dopo, nel 1962, adattò come film occupandosi solo del soggetto e della sceneggiatura mentre alla regia, mentre la regia fu ad opera del duo Paolo Heusch & Brunello Rondi.

Tommaso, un ragazzo cresciuto nel quartiere periferico di Pietralata, si arrangia ogni giorno insieme agli amici con piccoli reati per guadagnare soldi. Dopo la morte di un suo amico e aver incontrato una ragazza – Irene – finisce per un anno e mezzo in prigione dopo aver accoltellato, durante una rissa, un giovane del quartiere Garbatella. Una volta libero, scopre che i familiari hanno finalmente ottenuto una nuova casa in una zona migliore e decide di mettere la testa a posto e di sposarsi, solo per ammalarsi e morire di tubercolosi poco tempo dopo, senza riuscire a godersi quel “posto al sole” che finalmente era a portata di mano.

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