Home Cultura Arte Umanità e teatralità tra il Cristo Velato e l’Estasi di S. Teresa

Umanità e teatralità tra il Cristo Velato e l’Estasi di S. Teresa

Due opere a confronto di Sanmartino e Bernini

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Napoli, Cappella Sansevero

Una delle caratteristiche per intendere l’arte barocca è il gusto per la “teatralità”: la rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli eventi. Nell’opera Estasi di Santa Tersa d’Avila di Gian Lorenzo Bernini, si evidenzia l’esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali che l’autore fu precedentemente e trasforma, letteralmente, lo spazio della cappella in una scenografia.

Per esempio lo scenario con vetri gialli, come un faretto dall’alto i raggi che illuminano, la vaporosa nuvola che sorregge il corpo della Santa nel momento della Transverberazione (dal latino trafiggere) e di lato l’Angelo con il dardo in posizione per colpire, creano uno spettacolo.

A conferma dell’immaginaria rappresentazione ai lati due palchetti con i ‘mezzobusto’ dei committenti che guardano con stupore la scena. Sicuramente il virtuosismo tecnico delle vesti sante che drappeggiano diviene una metafora di passione ed emozione che vive la Santa e dimostra la grandezza dell’autore nella capacità di plasmare come cera il marmo sotto i colpi dello scalpello.

Ma… il Cristo morto o deposto, da noi tutti denominato Velato riporta al silenzio delle sensazioni. Nelle intenzioni del committente Raimondo de Sangro, la statua doveva essere eseguita da Antonio Corradini (già autore della Pudicizia) ma sfortunatamente morì.

Giuseppe Sanmartino (o Sammartino) tenne poco conto del precedente bozzetto dello scultore veneto, anzi inserì nel velo i palpiti e i sentimenti tardo-barocchi. Il sudario copre nel suo lieve movimento il corpo senza vita e le morbide coltri si raccolgono misericordiosamente, sul quale i tormentati e convulsi ritmi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi che la pietosa copertura rendesse ancor più nude ed esposte le povere membra, sottolineandone le linee del corpo martoriato.

La vena gonfia e ancora palpitante sulla fronte, i solchi dei buchi dei chiodi sui piedi e sulle mani, il costato scavato e rilassato finalmente nella morte liberatrice, sono il segno di una ricerca intensa che non dà spazio a preziosismi o a canoni di scuola. Anche quando lo scultore “ricama” minuziosamente i bordi del sudario o si sofferma sugli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo.

L’arte di Sanmartino si risolve in un’evocazione drammatica, che fa della sofferenza del Cristo il simbolo del destino e del riscatto dell’intera umanità. In una posizione prospettica il velo disegna un’anima che defluisce e scivola dal corpo che ‘morto’ o ‘deposto’ ne insegue il simbolo dell’UOMO, mentre la carne di un DIVINO ha vissuto una passione forte offrendosi liberamente per i suoi figli. Ecco che il Divino indicato nei simboli-oggetti della passione, salvano il corpo, lo innalzano a Figlio prediletto del Padre Eterno.

fonte ph: wikipedia, analisi dell’opera

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