Tiziano Vecellio vive gli anni del Rinascimento dove vi è la presenza del tratto e dell’uso del disegno di Michelangelo e quindi si spinse su colore tonale. Questa tecnica artistica tipica veneta (da cui lui veniva) lo spinse ad essere uno dei maggiori autori di questo periodo con appunto una sensibile attenzione al colore e all’effetto su di esso della luce. La capacità quindi di rendere tra colori freddi e caldi un’unità perfetta che gioca con la luce e i suoi effetti rendendo duttili le tonalità.
Il dipinto e la scena sono stati rappresentati da più artisti nel corso del Quattro-Cinquecento, ma in questo caso Tiziano ci mostra il momento in cui la principessa è appagata, tra abbandono e soddisfazione. Di lato nella composizione è presente anche un Cupido che impedisce alla nutrice di raccogliere la pioggia per impedire la fecondazione. Lo sguardo è rivolto verso la pioggia, avvolto in un’ombra compiacente, così come il languido corpo si lascia andare nelle gambe quasi scoperte e pronte ad accogliere Giove; la passione e le emozioni della principessa di Argo sono visibili nelle dita della mano destra che stringono tormentano le lenzuola.
In questa prima versione la Danae si dona alla divinità per amore, come è rappresentato dalla presenza del Cupido.
In seguito il quadro fu trasferito a Parma, ma rientrato nell’eredità Farnese, fu preso da Carlo III di Borbone e trasportato a Napoli. Durante la rivoluzione del 1799 fu trasferito a Palermo, per poi farne ritorno. Trafugato dai nazisti durante la II Guerra Mondiale, fu ritrovato in una miniera di Salisburgo e riportato a Napoli dopo la fine del conflitto nel 1947.
In questa versione la nutrice è al posto del Cupido, ed essendo la guardiana della torre dove è rinchiusa la principessa (le chiavi sono ben evidenti legate alla cinta) va a rappresentare l’avidità e la stoltezza (infatti è intenta a raccogliere le monete d’oro).
La sensualità e l’erotismo si perde nella completa nudità della Danae e nella manifestazione di Giove che irruento arriva come un tuono. Infine, la creazione di un luogo rustico, le tende, la stanza e la presenza del cagnolino immergono nel cupo rossastro la scena, rendono la scena pregna di pessimismo, in cui il divino è come l’uomo, materialistico.
Se nella prima opera si avverte la poesia della passione e dell’erotismo, nella seconda opera si legge chiaramente il gesto di una violenza e l’uso carnale di un corpo.
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