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Il Tesoro di Napoli dei Negromanti

Grotta degli Sportiglioni: storie, leggende e mistero

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Una delle storie e leggende più particolari del territorio campano e in particolare di Napoli è legato alla negromanzia (o psicomanzia, tecnica di divinazione consistente nell’evocazione delle anime dei defunti per averne presagi). Ovvero un tesoro dei negromanti in una grotta.

Tra Poggioreale e Capodichino, vi è una cava che nasconderebbe questo prezioso e che si conserva da tempo immemore come il suo mistero… si tratta della Grotta degli Sportiglioni.

Il nome deriva dal fatto che si trattava di un antro di tufo nel cui interno si nascondevano stormi di pipistrelli (dal latino vespertilia, poi vespertilione e infine sportiglione).

Luogo anche ricco di storia cittadina, infatti il primo ad utilizzarla e a soggiornarvi fu Belisario, generale dell’imperatore romano Giustiniano che durante la battaglia contro i Goti, nel 536 d. C., si nascose con il suo reggimento fin nelle profondità, tagliando i canali dell’acquedotto della Bolla (Volla), che partivano da Capodichino. E proprio quando dopo giorni di resistenza cittadina voleva rinunciare alla conquista, un soldato scopri nella cava un passaggio che conduceva nel cuore della città di Napoli. Così riuscirono 400 soldati a passare tra i pozzi, che dalla città aperte le porte diedero il via alla distruzione della città partenopea. Vicende a noi giunte da Procopio di Cesarea.

Nel 1442, Diomede Carafa, comandante dell’esercito di Alfonso I d’Aragona, conoscendo le modalità di espugnazione di Belisario, convocò due pozzari e con le stesse modalità condussero gli uomini delle truppe per i cunicoli sotterranei portandoli alla facile presa di Napoli, ed ebbe inizio la lunga egemonia spagnola.

Così nel pieno del ‘500 il generale francese Odet de Foix, conte di Lautrec, cinse d’assedio la capitale del viceregno spagnolo e fece esondare le acque così da provocare con la calura un epidemia, ma la stessa decimò anche il suo esercitò, portando alla morte dello stesso conte (che oggi dà il nome al territorio Lotrecco).

In questo periodo le truppe francesi portarono con sé anche tutto ciò che avevano razziato fino a quel momento, un tesoro di ori, gemme, argento e preziosi di ogni tipo… che si disperse in quelle gole insieme ai loro corpi.

Successivamente, o forse per questo, gli Sportiglioni divenne un luogo nefasto e funesto, con il 1656 e la peste divenne destinazione dei morti a causa della peste. Migliaia di cadaveri, si parlò di circa cinquantamila appestati, riempirono letteralmente il varco tanto da diventare un muro umano e nelle sue gole, si incominciarono a esercitare pratiche negromantiche.

Tanto da essere stata rappresentata in un’opera teatrale il 16 ottobre 1825 da Francesco De Petris in tre atti messo in scena al teatro San Carlino di Napoli, ed ebbe anche un discreto successo. A dissacrare anche l’argomento de “I negromanti nella Grotta degli Sportiglioni” come protagonista fu scelta la maschera di Pulcinella coadiuvato da Pancrazio Boscegliese che erano andati a dissotterrare i tesori ma la vicenda li porta a spaventarsi dalla stessa ombra del filosofo narrante, confusa tra briganti e anime dei morti.

Così tanto il Celano che altri scrittori e storici hanno riportato sia della Grotta sia dei “cercatori del Tesoro”… ma nessuno ancora oggi è riuscito a farlo risorgere, neanche usando al negromanzia.

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