Domenica era prevista la visita guidata all’area archeologica di Cuma, ma ovviamente per evitare assembramenti abbiamo sospeso le attività, e scrissi la prima parte dell’articolo con info storiche, adesso antropologiche. Il nostro obiettivo è rendere la cultura a tutti, in qualsiasi modo, e in questa occasione in cui restiamo a casa o comunque evitiamo di esporci troppo, vi teniamo compagnia con visite guidate ‘virtuali’, con video od articoli… poi quando potremo la vedremo dal vivo! Buona Lettura!!!
In quella terra di Cuma, generata dalle divinità greche, si nascondono due meravigliose figure che sono legate alla storia e alla conoscenza del passato.
«Poi, dopo che la terra questa stirpe ebbe coperto,
essi sono, per volere del grande Zeus, dèmoni
propizi, che stanno sulla terra, custodi dei mortali,
e osservando le sentenze della giustizia e le azioni scellerate,
vestiti di aria nebbiosa, ovunque aggirandosi sulla terra,
dispensatori di ricchezze: questo privilegio regale posseggono.»
Esiodo
Dal greco socratico Dáimon, Socrate che non era ateo, affermava di credere in una particolare divinità, figlia degli dèi tradizionali, che egli indicava come dáimōn. Un essere inferiore alle grandi divinità ma superiore agli uomini, e che possiamo intendere anche con il termine genio. Una voce interiore che lo stesso Socrate si diceva tormentato, che cercava di dissuaderlo dal compiere una certa azione. Un’entità che ci fa discutere, confrontarsi, e ricercare la verità morale… (Kant). Un essere che si pone quindi tra il divino e l’umano, con la funzione di intermediario tra due dimensioni, il Dèmone è lo stato post mortem della prima generazione aurea.
Oggi lo possiamo tradurre in “coscienza“, che appunto indicava quello stato interiore di sintonia tra i tre centri (sapere insieme) che, se raggiunto, permetteva all’uomo di elevare la propria ragione. La coscienza genera quindi conoscenza, ma è la fase iniziale della consapevolezza che permane col vecchio e, di conseguenza si parla di coscienza.
E se si ha questa ‘consapevolezza della conoscenza’, non parrà strano capire che il popolo antico cercava una sacerdotessa che parlasse per la divinità che avrebbe rivelato loro ‘la verità, la soluzione, la salvezza’.
Poco all’ingresso dell’area archeologica o forze sotto a questa struttura il monumento più singolare e suggestivo che attrae turisti e curiosi oggi, ed è costituito dalla grandiosa galleria di epoca arcaica, che si apre poco sotto la porta dell’acropoli.
La Sibilla parlava quindi al popolo nell’ultima stanza.
«Poscere fata / tempus, ait – deus, ecce deus!»
[…è tempo, dice, / di chiedere i fati – il dio, ecco il dio!]
Dal III libro dell’Eneide troviamo il racconto di Enea, che se vorrà finalmente trovare la terra destinata al suo popolo dagli dei, dovrà recarsi ad interrogare l’oracolo di Cuma, in Campania, dove l’eroe, memore dei consigli di Eleno, si reca nel tempio di Apollo.
Sopra l’Antro infatti il Tempio di Apollo, secondo altre fonti era una area termale. Lasciando il fascino della leggenda, Virgilio parla del Tempio costruito da Dedalo, il quale consacrò al dio le ali che gli permisero di fuggire. Poco vicino un tempietto su podio, “del tipo in antis questi è stato ipoteticamente identificato come dedicato ad Artemide
E proprio lì, che Enea, si racconta che fece la richiesta alla Sibilla. Lei fu la sua guida nel regno del dio Ade. Prima di entrare nell’Ade vero e sulle rive del fiume Acheronte, vagano senza pace tutte le anime dei morti rimasti insepolti, e qui incontrano Palinuro, che narra del suo assassinio e del suo corpo lasciato insepolto, e la donna lasciò il suo vaticinio, ovvero avrebbe avuto il beneficio della partenza solo dopo che avvesse provveduto ad un tumulo sepolcrale per l’amico.
Il titolo di Sibilla Cumana era detenuto dalla somma sacerdotessa dell’oracolo di Apollo, ovvero la divinità solare ellenica, e di Ecate che era l’antica dea lunare pre-ellenica. Ella svolgeva la sua attività oracolare ispirata dalla divinità, trascriveva in esametri i suoi vaticini su foglie di palma le quali, alla fine della predizione, erano mischiate dai venti provenienti dalle cento aperture dell’antro, rendendo i vaticini “sibillini“.
Alla sua figura è anche legata una leggenda: «Apollo innamorato della giovane vergine, le offrì qualsiasi cosa purché ella diventasse la sua sacerdotessa, ed essa gli chiese l’immortalità (che racchiusa secondo Ovidio nella sua mano quanti i granelli di sabbia). Ma si dimenticò di chiedere la giovinezza e, quindi, invecchiò sempre più finché, addirittura, il corpo divenne piccolo e consumato come quello di una cicala. Così decisero di metterla in una gabbietta nel Tempio di Apollo, finché il corpo non scomparve e rimase solo la voce.
Apollo comunque le diede una possibilità che se lei fosse diventata completamente sua, egli le avrebbe dato la giovinezza. Ma la donna, per non rinunciare alla sua castità, decise di rifiutare.
L’etimologia del nome è ignota. Secondo alcun, vorrebbe significare “Vergine Oscura”, proprio perché vivevano in luoghi oscuri e misteriosi; inaccessibili. E proprio per questo, e per i loro infallibili responsi, le Sibille erano assai temute e rispettate.
«Io sono colei che domina sul Fato,
colei a cui sono sottoposte tutte le divinità,
perché al di sopra di esse.
Io stessa svolgo il ruolo del destino onnipotente.
Io sono colei che non generata tutto generò,
sono la vita che trionfa sulla morte,
sono colei che dispensa.
Io sono tutto ciò che è stato, che è e che sarà,
e nessun mortale o dio
ha sollevato il mio bianco peplo.»
Plutarco (nel suo trattato sul Fato, la definisce la “Signora dell’Occidente” e la fa parlare in prima persona).