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Chi è in realtà un rifugiato?

Il caso della Sea Watch ha riaperto vecchie ferite e fatto riesplodere il dibattito sulla figura del rifugiato.

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È un termine preciso giuridico che individua persone fuggite o espulse dai propri paesi in seguito a varie discriminazioni politiche, razziali, religiose o perché semplicemente perseguitate, che ricevono ospitalità in un qualsiasi paese straniero che riconosca il loro status a livello legale.

A differenza del profugo che è un individuo allontanatosi dal proprio paese a seguito di guerre o da persecuzioni, il rifugiato ha sicuramente ottenuto questo status dalla disposizione di legge dello Stato che lo ospita o dalle convenzioni internazionali (la convenzione di Ginevra del 1951), come anche una protezione con il noto asilo politico.

Alla fine del 1950, considerato l’elevato numero dei rifugiati, l’O.N.U., istituì un apposito organismo, cioè l’Alto Commissariato per i rifugiati.

La definizione esatta di rifugiato è ben delineata nel capitolo 1 art. 1 della convenzione di Ginevra del 28/07/1951 sullo stato dei rifugiati: infatti, è rifugiato, secondo la convenzione predetta, “chi si trova fuori del proprio paese e non può o non vuole avvalersi della sua protezione, perché teme di essere perseguitato per motivi di religione, di razza, per le sue opinioni politiche, ecc. o chi si trova già fuori del proprio paese di origine a seguito di tali persecuzioni e non può o non intende ritornarvi proprio per il timore di cui si è detto”. Di conseguenza, lo Stato che ospita i rifugiati deve equiparare ai suoi cittadini i rifugiati a livello civile, di assistenza e di esercizio della professione.

È evidente che possono ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, solo coloro che nel loro paese d’origine hanno concretamente subito persecuzioni dirette e personali per i motivi già indicati o hanno paura di subirle, ove vi ritornino.

Anche per questi casi esistono precise regole burocratiche: l’istanza per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato deve essere presentata presso l’ufficio di polizia di frontiera o presso la competente Questura. L’esame di questa domanda è affidato ad un’apposita commissione, cioè alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione locale, in base ai numerosi decreti. L’ultimo è il decreto Legge n. 113/2018 del 4 ottobre 2018.

Per “persecuzioni”, vengono intese tutte le minacce alla vita, le torture, le varie privazioni delle libertà personali, le gravi violazioni dei diritti umani.

Certo le torture lasciano evidenti segni indelebili nella vita di molti rifugiati che le hanno subite e che chiedono asilo in Italia. Per questo motivo numerose associazioni sono impegnate nella possibilità di aprire appositi centri tesi a riabilitare i rifugiati, vittime di abusi e violenze, mediante percorsi di cura.

Proprio sulla nave Sea Watch erano visibili sui corpi di molti migranti evidenti tracce di tortura e abusi subiti da tempo.

Questo grande fenomeno migratorio è purtroppo in espansione e sicuramente non potrà essere risolto unilateralmente né dall’Italia né da un altro Paese, bensì dall’intera Comunità Europea, che abbia le competenze e le figure adeguate per poterlo arginare. A tal proposito, l’attuale Commissario Europeo per le Migrazioni, gli Affari interni e la Cittadinanza, dovrà monitorare questo grande fenomeno e trovare soluzioni adeguate, prima che esploda in tutta la sua drammaticità e diventi senza controllo.

Come si dice: la speranza è l’ultima a morire!

 

 

 

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