Un omicidio ancora avvolto nell’oscurità. Un mistero insoluto che risale al Cinquecento. Il macabro assassinio di vendetta, per l’onore o per interessi economici?

Questa è la storia della tragica fine della Baronessa di Carini uccisa dal padre insieme all’amante che continua a rappresentare un enigma senza risoluzione.

Questa è la storia di Laura Lanza, nata nobile di Palermo, e che il 21 dicembre 1543, all’età di 14 anni, andò in sposa, a don Vincenzo II La Grua-Talamanca, figlio del barone di Carini Pietro III e di Eleonora Manriquez, che si trasferì nel loro avito castello. In questo maniero, in provincia di Palermo eretto dal feudatario normanno Rodolfo Bonello, che giunse in Sicilia a seguito del Gran Conte Ruggero I, la bellissima donna visse per vent’anni e diede alla luce ben otto figli. Ma in quelle stesse stanze, soprattutto nella stanza a sinistra del salone delle feste la nobildonna consumava gli incontri proibiti con il suo amante.

Fonte ph: gazzettadel sud-Palermo.Sicilia

Tutt’oggi si dice che aleggi il suo fantasma tra queste stanze, proprio davanti al luogo dove lasciò la traccia della sua mano insanguinata, dove il dolore è intriso per l’efferato omicidio come un canto popolare di autore anonimo del secolo XVI rimpiangeva, in una delle strofe, la drammatica morte di Laura Lanza: «Vurria ‘na canzunedda rispittusa, chiancissi la culonna a la me casa; la megghiu stidda chi rideva in celu, anima senza cappottu e senza velu; la megghiu stidda di li Serafini…povira Barunissa di Carini!».

Indubbio che nei secoli dal quel fatidico giorno del fattaccio la fantasia popolare ha ricamato sulla terribile vicenda dai contorni sia a tinte fosche e sia poco chiare nelle vicende, che piange un amore seppur extra-coniugale negato a colpi di schioppo. Soprattutto perché all’epoca dei fatti, le potenti famiglie coinvolte nel delitto misero la sordina sui resoconti ufficiali, ma ciò, come detto, non fece che moltiplicare i sussurri del popolino.

Ecco che inevitabile appaia sulla parete della stanza l’impronta della mano insanguinata della povera donna colpita a morte aprirebbe ogni anno nel giorno del delitto sul muro del castello di famiglia.

Laura Lanza pur sposata e con otto figli era l’damante del cugino del marito, Ludovico (Lodovico) Vernagallo e furono ammazzati dopo essere stati sorpresi in flagrante adulterio.

Dagli atti giudiziari si legge: che Cesare Lanza, padre della nobile, giunto a castello per incontrarsi con la figlia vi trovò il genero in uno stato molto alterato. Don Vincenzo, infatti, aveva appena sorpreso la moglie in atteggiamenti intimi con Lodovico Vernagallo. Rinchiusi nella stanza di lei due amanti attesero per ore la propria sorte. Fu il padre a mostrarsi più risoluto, e nel voler ripristinare l’onore familiare, pur non esercitando a differenza del marito della figlia del diritto per legge lo accordava della facoltà di uccidere i colpevoli colti in fallo, allontanata la servitù, preso un archibugio freddò i due amanti.

fonte ph: goticomania.it

L’uomo subito dopo aver compiuto il duplice omicidio, richiamò la servitù affinché prendesse visione del delitto d’onore. Pretese che i cadaveri dei due amanti fossero esposti in piazza e lasciate al pubblico ludibrio, prima che venissero poi ricomposti in chiesa.

Questa versione è riportata in una lettera-confessione scritta dal padre della Baronessa Carini, che fu più volte prefetto della città, al sovrano Filippo II che ai tempi regnava attraverso il viceré.

L’uomo si assunse la colpa del duplice delitto ma la trama dell’omicidio sembra da subito molto più intricata rispetto a un semplice delitto passionale. Innanzitutto nella missiva non si chiarisce il ruolo giocato dal genero nei due omicidi.

Inoltre alcuni storici tra cui citiamo Calogero Pinnavaia, ricordano che il matrimonio tra Laura Lanza e Don Vincenzo per ragioni economiche. E soprattutto che i Lanza erano indebitati con i Vernagallo, e quindi con questo accadimento di sangue legato ad un adulterio e di onore, cancellerà questo cospicuo debito.

Anche perché l’amante era un giovane facoltoso e incorreggibile donnaiolo, e quando incominciò a frequentare la casa e di conseguenza la baronessa, la relazione era già sulla bocca di tutti. Tanto che si racconta che l’uomo si introducesse di notte nelle stanze di Laura usando una scala di corda e che vi restasse per lunghi periodi dormendo le accanto. È possibile che il potente Cesare Lanza ed il marito Don Vincenzo non fossero gli unici a non essere a conoscenza?

Dopo l’omicidio il viceré di Sicilia Don Juan de La Cerda mosso da rancori personali verso il Lanza ma anche da alcuni dubbi sulla versione nella lettera, trasmise le sue riserve a Madrid. Frattanto ordinò il bando del padre omicida e la confisca dei suoi beni. Costretto a lasciare la Sicilia e riparare in Spagna, il Lanza riuscì ad avvicinarsi al sovrano, che ne ebbe clemenza e poté pertanto ritornare sull’isola e riappropriarsi dei suoi averi.

Fonte ph: wikipedia

L’anno successivo venne addirittura gratificato con il titolo di Conte di Mussomeli e in sede processuale la corona giocò a suo favore anche perché i sovrani cercavano di mantenere un rapporto privilegiato con la nobiltà dell’isola a costo di andare apertamente contro la volontà del viceré stesso.

Quindi la soluzione fu quella di riversare la colpa sul marito, unico giustificato per l’operato avendone diritto di legge perché trovati in fragranza. Infatti l’uomo dopo un breve periodo di carcere venne graziato. Tornato libero e con la fedina penale immacolata il barone si affrettò a cancellare l’onta di quella brutta pagina convolando a nuove nozze con Ninfa Ruiz e rinnovando alcune stanze del castello. Ma proprio per cancellare le tracce che potevano ricordargli la prima moglie, disconobbe e diseredò tutti i figli avuti da Laura dichiarando così pubblicamente sospetto che nelle loro vene non scorresse il suo stesso sangue.

Secondo la tradizione locale la baronessa sarebbe stata tumulata nella cripta dei La Grua sotto l’altare maggiore della chiesa madre carinese. Ma sono sorti dubbi, visto questo ripudio, e il grafologo del Tribunale di Palermo Carmelo Dublo ha provveduto ad analizzare gli antichi documenti disponibili individuando nella chiesa di Santa Cita a Palermo, proprio nella cripta dei Lanza, dove sono sepolti il nonno paterno della baronessa, Blasco, il padre Cesare con la seconda consorte, e il fratellastro Ottavio, un sepolcro posizionato ancora più sotto con un artistico sarcofago anonimo con lo stemma di famiglia e la statua giacente di una giovane donna: secondo molti la Baronessa Laura Lanza di Carini.

Fonte ph: iFantasmi.it

Questa funesta storia di omicidi e tradimenti, di mistero e ingiustizia divenne ispiratrice di opere e di scritti, di studi e di ricerche. Tra questi ricordiamo l’opera La baronessa di Carini, rappresentata al Teatro Massimo Vittorio Emanuele di Palermo il 16 aprile 1912 del compositore siciliano Giuseppe Mulè. Nonché nel 2007 la versione con la regia di Umberto Marino, e con gli attori Vittoria Puccini e Luca Argentero.

Ma per gli appassionati e per chi ha goduto in quegli anni del 1975 incolato per quattro sere su RaiUno insieme a milioni di italiani: “L’amaro caso della Baronessa di Carini”, con un cast straordinario Ugo Pagliai e Janet Agren, Enrica Bonaccorti, Paolo Stoppa, Vittorio Mezzogiorno e Adolfo Celi.

Il tutto iniziava… al momento di esalare l’ultimo respiro, una bellissima donna bionda avvolta in una candida veste da notte, lascia il segno della sua mano insanguinata sul muro della stanza di un castello medioevale, un gruppo di sgherri l’ha appena uccisa con il suo amante, mentre le note di un’antica ballata siciliana annunciava la sigla.

FONTEmedioevomisterioso; wikipedia, iFantasmi.it; lagazzettadelsud.Palermo.it; tacus.it; goticomania.it;
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