Era il 1235 quando papa Gregorio IX approvò la concessione di una chiesa dedicata a San Lorenzo Martire da erigere nella città di Napoli che fu costruita nel Foro, utilizzando quella di epoca paleocristiana, e fu assegnata ai frati francescani: oggi San Lorenzo Maggiore. Pochi anni dopo con l’arrivo di Carlo I d’Angiò, dopo la conquista del Regno che era nelle mani di Manfredi e gli Svevi, egli stesso sovvenzionò la ricostruzione della basilica e del convento.
Una vera rivoluzione soprattutto per l’accostamento dello stile gotico con lo spirito francescano, sotto la direzione nella prima fase degli architetti francesi, rimanendo tutt’ora l’unico esempio nel suo genere in Italia. Anche perché come accennato la seconda parte della costruzione, ovvero il transetto e l’abside invece ha una presenza di gotico italiano con probabili maestranze settentrionali.
E proprio in questa chiesa, che di storia, eventi, racconti, e avvicendamenti storici culturali ed artistici ci si potrebbe raccontare per ore ed ore, spicca una leggenda straordinaria.
Un misto tra sacro e profano, un’osmosi di leggenda popolare e traslazione religiosa, che si innestano uno dentro l’altra, corrodendo la voce santa con la voce di un cantastorie all’angolo del vicolo.
Entrando in chiesa sul lato sinistro, dopo la prima cappella, si apre a noi una grande scenografia architettonica, composta da due cappelle unite in un unico ambiente, separate solo al centro, davanti al primo gradino, da alcune colonne resti della preesistente chiesa cristiana (materiale di spoglio riutilizzato).
Tutta rivestita in pieno stile barocco, è una delle quattro cappelle seicentesche rimaste integre dopo i restauri del 1882, più volte interrotti e ripresi, che cancellarono progressivamente le aggiunte barocche.
Se nella prima cappella sono collocati alcuni monumenti sepolcrali alla famiglia Carmignano dal XIV al XVIII secolo con al centro una tela di Francesco De Mura raffigurante L’Angelo Custode, nella seconda cappella abbiamo i marmi barocchi eseguiti da Giorgio Marmorano, che costruì anche l’altare maggiore.
Questo cappellone è dedicato all’Immacolata Concezione, ne è prova anche la bellissima pala d’altare dedicata alla Vergine Immacolata di Paolo Domenico Finoglia. La Vergine si presenta con due angeli e fu creata per i committenti Giulio Cesare e Giovan Battista Bonaiuto, in data 13 settembre 1629. Gli stessi furono coloro che fecero accorpare le due cappelle in una sola.
Poco sotto, sull’altare si erge un ciborio con pietre preziose, che contiene un tabernacolo, in cui di genere si utilizza per celebrare la Candelora. Qui un affresco raffigura l’Ecce Homo, che secondo alcuni studiosi è attribuito a Colantonio Del Fiore.
Vi è però una particolarità in questa immagine sacra, ovvero il Cristo si presenta con le mani sciolte, mentre è tipica la riproduzione con le mani legate in avanti, ma Gesù tiene la mano sul petto sinistrra sul petto destro e un’altra sul fianco destro, chinando la testa, verso la ferita al costato.
Secondo una leggenda, riportata anche dal De Lellis: una notte due ladri entrarono in chiesa e rubarono i soldi delle offerte ed i candelabri d’oro, fermati alla penultima cappella grande (appunto quella della Candelora), decisero di dividersi il bottino e separarsi una volta usciti per non essere presi in fragranza di reato e con la refurtiva così vistosa. Secondo la leggenda incominciarono a litigare perché i pezzi da dividersi erano dispari e quindi scelsero di dividersi il bottino tirando a sorte, e l’ultimo rimasto avrebbe avuto un pezzo in meno degli altri (secondo altri racconti a dadi). Il ladro sfortunato si arrabbiò, e preso dall’ira, sbraitando e bestemmiando lanciò il bottino contro l’immagine, poi prese un coltello e lo piantò per rabbia nell’immagine dell’Ecce Homo. In quell’istante la storia popolare vuole che il pugnale conficcato nel petto del Signore incominciò a sgorgare sangue, e quindi la sacra immagine sciolse le mani legate e andò a coprire le ferite sul suo corpo: una provocata dal biblico soldato romano quando era in croce, e l’altra dal ladro peccatore, che cadde spaventato e in lacrime, fin quando non arrivarono i frati che lo consegnarono alle autorità. Secondo una latra versione del popolo il ladro sarebbe stato trattenuto dalla mano che ora è posta sulla ferita biblica. Si salvarono sono gli altri due malfattori che spaventati lasciarono al refurtiva a terra.
Oggi a noi resta il ricordo e la storia magica di questa immagine sacra, sicuramente particolare, soprattutto perché è strano che l’autore abbia dipinto il Cristo con la mano sinistra che tocca il centro del petto, e l’altra la ferita al costato… e seppur così fosse, anche in questo caso sarebbe un’originale immagine dall’iconografia unica al mondo.
Fonte delle foto (compresa copertina): wikipedia