La fertile penna di Maurizio De Giovanni ci ha fatto conoscere, ormai sono quasi quindici anni, un personaggio che ci è diventato subito caro, un uomo strano, silenzioso, introverso, in lotta con i fantasmi di un esistenza volutamente solitaria, un’anima tormentata da pensieri, emozioni, amori repressi, paure,

L’avrete riconosciuto: è il commissario  di polizia Luigi Alfredo Ricciardi, barone di Malomonte. La sua misurata gestualità, il suo portamento discreto e signorile, ne rivelano le origini nobili.

E’ lui, Il commissario Ricciardi, mesto indagatore dei mali della sua città, la città in cui vive in un periodo cupo e di disperazione, la Napoli degli anni trenta del novecento, una città dalla bellezza struggente e malinconica. Sono gli anni in cui una spietata crisi economica ha lasciato dietro di sé macerie materiali e morali e sofferenza, sono gli anni del regime fascista, con una pretesa di grandezza che rifiuta di confrontarsi con una realtà sociale drammatica dove biechi individui, servi del regime,  inseguono, con le ricchezze accumulate con il sangue e sulla pelle della povera gente, propositi di grandezza.

Ma, nonostante tutto è una Napoli che conserva la sua dignità, preservando i valori della famiglia, dell’onore, della religione e della patria. Sono quei valori che molti anni dopo condurranno il popolo a sollevarsi  e a liberare la città dagli aguzzini nazifascisti.

A rendere più affascinante la figura del commissario è un dono, che può rivelarsi anche una condanna, che gli rende possibile, in una specie di trance, di ascoltare le ultime parole dei morti di morte violenta, nel luogo dove è avvenuto il misfatto.

E come non rimarcare un’altra piega della vita del commissario: l’amore sofferto e silenzioso per una giovane donna che ha incontrato solo di sfuggita, per strada. La ragazza abita nel palazzo di fronte con i suoi, una famiglia borghese di commercianti. I genitori si disperano perché la figlia non riesce, forse volutamente, a fidanzarsi e a “sistemarsi”.

Ogni sera, prima di andare a letto, il commissario guarda verso la finestra di fronte, dove la ragazza spesso è intenta a ricamare, gli sguardi si incrociano mentre  lui la saluta con un languido “buonanotte amore mio”.

Un’altra figura arricchisce la vita professionale di Ricciardi, quella del brigadiere Maione, suo fidato e paterno collaboratore, un brav’uomo con a carico una famiglia numerosa che ha vissuto il dramma della perdita del primogenito.

E poi Bruno Modo, suo amico fraterno con la fama di essere il miglior medico legale della città. E  il “femminiello” di nome Bambenella che, attraverso l’amicizia con il brigadiere, diventa un prezioso confidente delle indagini del commissario.

A materializzare in  TV  questa intricata e enigmatica figura, è il regista Alessandro D’Alatri. Il bravo attore Lino Guanciale è stato prescelto per impersonare questa figura così particolare e tormentata. Devo dire che, a parer mio,  la scelta è azzeccatissima, vuoi per l’aspetto e la prossemica  vuoi per la sognante espressività. Il trucco e gli abiti dell’epoca completano l’opera: l’immancabile impermeabile, indossato con il bavero alzato anche quando fa caldo e  i capelli impomatati che lasciano libero un ciuffo ribelle sulla fronte.

Lino Guanciale  nasce attore teatrale, poi  ha interpretato diversi ruoli cinematografici ma solo la grande risonanza mediatica della televisione gli ha donato la popolarità e il grande pubblico, soprattutto con due fiction: “La porta rossa” e “l’Allieva”.

Dice lo stesso De Giovanni in un recente articolo scritto per il CorSera: “Ho incontrato Luigi Alfredo Ricciardi in una caldissima mattina di giugno di quindici anni fa. Il luogo era magico, un ponte sospeso sul tempo, il Caffè Gambrinus, nel centro della città. Ero alla ricerca di qualcosa da raccontare per un concorso letterario…Qualche parola su un foglio, per poi tornare alla mia vita di bancario. Ero privo di ispirazione ma, girando attorno il mio sguardo, lo vidi là, nella penombra, gli occhi perduti nel vuoto e un caffè che gli si freddava davanti…”

Era lui…

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