Prosegue la nostra rubrica di articolo-intervista su alcuni giovani napoletani già affermati o che si stanno facendo conoscere al grande pubblico con la loro Arte e Passione. L’intento è di raccontare l’esperienza di costoro, che rappresentano la faccia buona e pulita della Napoli che tanto amiamo.

Come diceva Jose Marti: “La felicità esiste sulla terra, ed è ottenuta attraverso l’esercizio prudente della ragione, la conoscenza dell’armonia dell’universo, e la pratica costante della generosità”.

Ecco che possiamo raccontare della nostra vita, connessa alla tumultuosa città partenopea attraverso gli occhi di giovani e di artisti e delle loro esperienze.

Autore del testo “Il Cammino Neocatecumenale – Storia e pratica religiosa Volume 1 e 2”, Danilo Riccardi si racconta al nostro giornale con una semplicità disarmante, pur trattando temi importanti e con la stessa naturalità spiega e arricchisce l’ascoltato e chi leggerà questa intervista.

Chi è Danilo Riccardi?

Sono un giovane napoletano laureto, ho fatto un anno di servizio civile alla Caritas, e poi ho iniziato il mio lavoro l’insegnamento di storia e filosofia come insegnante a tempo determinato. Non amo usare il termine ‘precario’, che è un termine da ‘depressione’, e quando non Insegno sono operatore museale presso il Complesso di San Lorenzo Maggiore. Ed ora sono autore di questo testo “Il cammino neocatecumenale storia e pratiche religiose”. Un testo nato dai miei studi, dai miei interessi legati alla analisi della storia del Cristianesimo, da domande che mi portavo da piccolino e che poi, grazie alle scienze storiche-filosofiche e antropologiche, riesco tutt’ora a pormi.

Ho scelto il cammino neocatecumenale perché un giorno, mentre stavo finendo la mia laurea triennale, chiesi alla mia professoressa di Storia Cristianesimo di trattare come argomento le missioni gesuitiche nel Sud America. La risposta fu negativa perché, mi disse, che era qualcosa di troppo lontano e quindi di dedicarmi a qualcosa più vicino e mi propose quale argomento questi movimenti ecclesiastici. Io pensai alla Comunità di Sant’Egidio e a quello Neocatecumenale, così la scelta di approfondire fu su quest’ultimo cammino. Quasi come un gioco. È nato, quindi, prima una tesi triennale e da lì poi ponendomi una serie di domande su come funzionano queste comunità e su questo movimento ecclesiale diffuso in tutto il mondo, ho deciso di dare un taglio antropologico-sociologico e creare testo organizzato.

inoltre questo è il primo testo, ben organizzato, su questo movimento ecclesiale anche perché questi movimenti ecclesiali tendono a vivere nascosti, ritirati perché non apprezzati da alcuni esponenti ecclesiastici, ma fondamentalmente perché non hanno fonti. La mia ricerca si è basata sull’intervista anche di uomini che hanno fondato ed appartengono allo stesso. Una storia dal basso e dal vero racconta con metodologia antropologica, sociologica e religiosa.

Il testo si propone con due volumi, nel primo la visione storica e nel secondo contiene interviste e le fonti?

La proposta editoriale era di fare un unico volume e citare alcune interviste o in appendice inserirle tutte. La scelta di due volumi nasce dal fatto che solitamente il lettore quando si trova di fronte un testo di 400 pagine si spaventa, e poi dalla mia consapevolezza di voler pubblicare tutte le interviste per dare anche voce a chi solitamente la voce non ce l’ha. Siamo abituati ad avere davanti la storia dei vincitori o di grandi personalità ma dell’uomo comune fondamentalmente non sappiamo nulla.

Dare voce a costoro che mi hanno dedicato due ore della propria vita è alla base del lavoro stesso. È proprio grazie al loro tempo, alla loro vita che vive il cammino neocatecumenale. Un esempio è la storia della missione di una famiglia in Russia che ha portato in quei luoghi il Cammino Neocatecumenale, quando c’era ancora l’Unione Sovietica. Tramite l’esperienza di una donna e madre di famiglia che oggi è deceduta e grazie all’intervista oggi abbiamo un vero e proprio documento, un lascito di esperienza.

Viaggiare è uno degli elementi che si può incontrare in questo libro e la possibilità di mettere a confronto realtà diverse ma allo stesso tempo comunitarie. Una comunità-famiglia che è uno dei punti centrali del tuo volume, come si pone oggi uno scrittore, un giovane napoletano con una famiglia che nella società odierna va sempre più a sgretolarsi?

Rimanendo sempre nell’ambito di storico e non di un aderente al cammino neocatecumenale, la famiglia è morta come diceva Nietzsche. Con le guerre avremo nella Prima Guerra Mondiale la figura del padre patriarcale che muore, poi con la Seconda Guerra Mondiale e il ‘68 si avrà lo sgretolamento della figura della madre. Quindi, il concetto della famiglia di vecchio stampo nel mondo contemporaneo si pone come una famiglia ‘liquida’ strappando un po’ le veste a Bauman. Il cammino neocatecumenale, come fanno altri movimenti ecclesiastici, nasce in prospettiva di creare una comunità fondata sulle famiglie. Certamente non possono essere le stesse famiglie di 100 anni fa. La famiglia si presenta in questo cammino con l’obiettivo di creare famiglie basate su un amore, in cui uomo e donna si completano nell’azione evangelizzatrice. Ovvero la famiglia come cellula di evangelizzazione dove tutti i membri della stessa sono a servizio degli altri, e a servizio della comunità, così del mondo esterno che vanno ad evangelizzare.

Un modello che non sempre si attua ma che allo stesso tempo diventa l’obiettivo. Addirittura ci sono famiglie del cammino che abbandonano tutti i propri beni, come la casa, vende e con quei soldi aiutano i più bisognosi. Si trasferiscono in altre parti del mondo, in posti lontani dal loro: Cina, Giappone, Sudafrica, America del Sud e cercano di inserirsi in quella nuova società. Il loro unico obiettivo è l’evangelizzazione. Come si mantengono? C’è chi riesce subito a trovare lavoro mentre gli altri vengono aiutati dalle comunità di origine tramite delle offerte libere, una vera provvidenza.

Un esempio personale è stata l’esperienza come ospite di questa famiglia in missione. Un giorno non vi era cibo perché non era arrivato nulla dall’Italia, poi improvvisamente la Comunità di Sant’Egidio chiama e ci informa che un carico non era stato consegnato. Di fronte a quella scena anche allo storico asettico laico si trova in una situazione particolare, un camion ricco di viveri, che ti porta ad una serie di domande in cui ti chiedi se non è stata provvidenza, veramente un caso particolare.

Questo è uno dei cardini del Movimento Neocatecumenale, la difesa della famiglia, della vita. Infatti esistono nuclei familiari famosi anche in TV come quella invitata a Sanremo, con 16 figli. Il Cammino Neocatecumenale alala la base l’apertura alla vita. Interpretando quasi in modo integrale “Humanae Vitae” di Paolo VI in cui si sottolinea che nella vita non si usano metodi contraccettivi, e si è aperti ad accettare qualsiasi frutto che Dio dona. Ovviamente queste famiglie grazie alla generosità della comunità danno ai propri figli una vita dignitosa.

Un giovane napoletano che cosa può cercare nella società attualmente, e perché avverte l’esigenza di trovare un cammino, un rifugio?

Oggi il cammino neocatecumenale come tutti i movimenti post-ecclesiastici tendono a dare un rifugio all’uomo del XXI secolo. Uno degli autori che cito molto spesso il sociologo McLuhan che sottolinea come il mondo contemporaneo tende ad eliminare Dio. Eppure rimane sempre un mondo religioso perché l’uomo ricerca sempre qualcosa che va al di sopra di sé: che sia esso anche il cartomante o un mago o un gioco d’azzardo.

Un mondo in cui soprattutto i giovani tendono a cercare rifugio, proprio in queste comunità perché esse li accolgono e li fanno sentire protetti. Inizialmente si può entrare senza una vera e propria fede, molti lo fanno, come si potrà leggere dalle interviste, per, stare in compagnia per trovarsi la ragazza e poi dopo c’è la conversione. Conversione che si evince dalle interviste che diventa graduale. Ci sono anche i casi in cui si esce dalla comunità, perché lo trova restrittivo e settario. Creare questo testo serve per descrivere una storia ignorata, anche dagli stessi aderenti del cammino e dagli stessi cattolici. Le dinamiche religiose che molte volte vengono minimizzate nel dibattito pubblico che si risolvono solo in una visione politica. Una visione in cui tutto deve essere bianco e nero, mentre nel cammino ci sono molti grigi, molte sfumature legate anche alla singola parrocchia. Non si può parlare del cammino neocatecumenale ma bisognerebbe parlare dei cammini neocatecumenali, perché per ogni realtà ci sono le culture locali che sono correlate alla Comunità.

Come concili il tuo pensiero filosofico e libero con il pensiero filosofico religioso che ha incontrato nel tuo cammino?

Diciamo che la fede è un cammino e che può entrare in crisi proprio per le domande che ci si pone. Domande esistenziali, domande sul rapporto con Dio, del proprio ruolo nella comunità, che non è un rapporto o standard automatico ma di metamorfosi. In verità è proprio il mettersi in discussione con il proprio “io”, capire qual è la mia umanità, e quindi comporta una crescita.

La crescita dell’uomo e quindi la crescita della Fede. È un continuo mettersi in discussione anche rispetto a ciò che ti viene detto, anzi il pensiero filosofico è stato l’elemento che mi ha aiutato ad entrare e ad uscire in e da certi schematismi, che molte volte vengono propinati da preti o da persone che stanno dietro ad una cattedra od altare., e che fondamentalmente non conoscono la teologia.

Quindi la Fede, come anche la Bibbia, è una porta aperta e come diceva Gesù Cristo: è l’uomo che ha fatto la legge e non è la legge che fa l’uomo. Quindi è un po’ un punto per riscoprirsi in relazione con Dio e che ti lascia Libero. Questa è l’esperienza che mi ha permesso di realizzare questo testo, in piena libertà di storico che si è distaccato dall’aderente, centrando addirittura dei punti nevralgici che possono creare problemi allo stesso movimento. Il testo sostanzialmente tende a non dare pregiudizi, lascia al lettore la possibilità di ragionare e forse a porsi ulteriori domande.

Oggi ci sono valori che corrispondono a quelli che sono i temi che hai toccato nel libro: il lavoro/studio, l’educazione/la fede, la credenza, la politica, il sesso; come li affronti nel libro?

Il testo tende a enunciare e ci lascia vedere come gli aderenti di questo movimento ecclesiale abbiano riscritto il proprio piano valoriale. Per esempio c’è chi nell’ambito del rapporto con la moglie era infedele e dopo questa esperienza riconosce la fedeltà coniugale. C’è chi accetta la nascita di un figlio diversamente abile, quando prima per lui era impossibile.

Chi vive una sessualità secondo la castità nell’ambito del matrimonio. Per quanto riguarda la politica ho scelto di trattarlo meno nel libro anzi sottolinea il fatto che questo movimento ecclesiale neocatecumenale resta uno dei maggiori al mondo proprio perché, a livello mondiale, non si è schierato politicamente e lascia tutt’ora la possibilità a chi ne fa parte di essere libero nella scelta politica.

Può succedere che ci sia uno scontro dogmatico. In un mondo interreligioso questi valori possono porre dei problemi anche nell’ambito politico, per esempio l’aborto è un tema diffuso a cui l’apertura la vita non può che non appoggiare. Ma nessuno pur non essendo d’accordo andrà a fare una battaglia contro lo Stato. Semmai ci sarà la possibilità di un referendum allora ci sarà la possibilità di votare contro. Non si fanno crociate contro e né si giudica chi ha attuato la pratica, proprio per lasciare la libertà perché uno dei temi fondamentali di questo cammino e rispetto per l’altro.

Proprio perché il piano valoriale è differente da chi fa il cammino, sarebbe in questo caso metafora della stessa parola di Cristo di amare il prossimo come te stesso, di non giudicare, di essere cristiani con tutti. Non entrare nell’ideologia dell’altro creandone un danno, andandogli contro sarebbe fare l’opposto di quello che è il pensiero stesso neocatecumenale.

Si intuisce quindi che l’accoglienza e la libertà sono i due punti fondamentali di questo testo e di questo cammino neocatecumenale, e che forse oggi sono fondamentali della società proprio perché mancano. Cosa si aspetta lo scrittore e il giovane Danilo Riccardi per il futuro?

Bene. Per il mio futuro spero di riuscire a diventare un insegnante di storia e filosofia e farlo di professione. Farla diventare un vero e proprio stile di vita e poter dare agli altri il mio bagaglio di cultura, che ovviamente si aggiorna e cresce con me. Un bagaglio di stampo umanesimo e che non sia soltanto nozionistico, ovvero poter dare, attraverso la propria esperienza ed evoluzione dell’uomo, quei valori cristiani ed umani che possano aiutare soprattutto all’approccio alla vita.

Oggi l’insegnamento sta diventando sempre più difficile, è quasi una missione, sia per gli stipendi molto bassi e sia per la routine quotidiana che porta molti professori ad arrendersi di fronte anche ad una società dove la figura viene sempre più ridotta a margine.

Quindi l’obiettivo è dare un bagaglio, uno sguardo nuovo ai giovani sulla società che li circonda, e la filosofia è quella lente che permette di guardare senza essere incatenati a quel mondo di parole e di sofisti contemporanei che tendono a vendere, a fare spot ma non darci vere e proprie informazioni. Quindi è la possibilità di far capire, di far scoprire, di cercare la verità e quindi il ruolo dell’insegnante che mi aspetto di essere è dare degli occhiali metodologici ai ragazzi per guardare con occhi liberi la vita.

Un’ultima domanda con cui chiudiamo sempre le nostre interviste: un aggettivo che ti descrive e il perché lo scegli.

È una bella domanda. Posso usare come termine ‘paziente’. Tendo ad aspettare il tempo giusto per agire e molte volte non agisco di istinto ma studio. Cerco di non essere impulsivo anche perché sotto gli impulsi si tendono a fare degli errori personali e colpire il prossimo, facendogli del male e così fai male a te stesso.

Nella vita quotidiana però molte volte diviene un difetto perché perdi tempo nella riflessione, e quindi perdi delle occasioni. Però fondamentalmente per carattere, come persona, tendo ad agire sotto un piano razionale e non cercare subito il risultato, ma cerco di costruirlo nel tempo. Quindi credo che paziente sia la parola giusta.

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