Passeggiando per l’antico largo della Carità, oggi piazza omonima, dove vi è l’opera in onore di Salvo D’Acquisto, si avverte il ricordo dei tempi antichi del famoso e brulicante mercato che lo animava, grazie agli esercenti odierni e agli affari che vi si trattano. L’attuale via Giuseppe Simonelli, anticamente era chiamata vico Chianche alla Carità, famosa strada nominata così per via delle chianche (cioè le panche) su cui i macellai esponevano le loro carni. Poco vicino ad arricchire la storia della piazza, vi è via San Liborio, che tutti ricordano in Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, ed infine il quartiere del BiancoMangiare od anche Pignasecca.

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Da un lato, verso via Morgantini, si impone l’ingresso della caserma Pastrengo, antica parte del monastero degli olivetani. Sviando i palazzi di generazione fascista, frontalmente si ergono due edifici di grande interesse storico ed artistico. Stiamo parlando di palazzo Mastelloni e palazzo Trabucco, mentre di lato, quasi silenziosa, la chiesa di Santa Maria della Carità.

Così, allungando lo sguardo verso via Toledo, ad angolo ‘di punta’, il palazzo Della Porta.

Di queste costruzioni, due possono raccontarci oltre la storia artistica e culturale qualcosa in più… o meglio potremmo di sera ‘vedere’ o ‘sentire’ qualcosa che va oltre!

Palazzo Mastelloni (o secondo alcuni Mastellone) fu acquistato nel 1687 dalla famiglia nobile dei principi di Salza Irpina da cui prende il nome. Di cent’anni più antico, cambia il suo aspetto dopo essere stato danneggiato da un terremoto, nello stile rococò, per mano dell’architetto Nicola Tagliacozzi Canale.

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Divenne famosissimo nel 1799, quando dopo gli avvenimenti della Repubblica Napoletana, e dopo che furono giustiziati tutti gli insorti contro la corona (tranne Vincenzo Cuoco), iniziò l’epopea per l’arresto e la condanna a morte di Luisa Sanfelice, che abitava nel palazzo assieme al marito Andrea. Secondo le leggende popolari, tutt’ora si sente un lamento di donna, che per i locali è quello della nobildonna martire della repubblica. Nessuna apparizione, solo una voce languida che sussurra mugolii e piange nel pieno della sera, mentre rifacendoci ad altre testimonianze, nella notte dell’11 settembre, giorno in cui fu giustiziata, si sente urlare il suo nome.

Poco più avanti, andando verso piazza Dante, s’erge il luogo d’abitazione di uno dei nomi più illustri che ebbe Napoli: Giambattista Della Porta. Umanista, scienziato, filosofo, alchimista, letterato, erudito, e fondatore dell’Accademia Secretorum Naturae (Accademia dei Segreti) del 1560, visse nel palazzo (tranne in estate quando andava nella villa alla Salute alle Due Porte all’Arenella).

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Censito dai monaci di Monteoliveto già nel 1527, e dal padre acquistato per circa 24 ducati, il Della Porta vi trascorse la maggior parte della vita e delle attività scientifiche. Qui scrisse la sua opera più famosa, pubblicata per la prima volta nel 1558, intitolata Magia Naturalis (Magia naturale). Con questo libro ha trattato una varietà di argomenti tra cui la filosofia occulta.

Secondo il popolo napoletano e gli abitanti dell’edificio, lo si può ancora incontrare in giro per il palazzo. Racconta chi lo ha visto apparire, che indossa un abito scuro di foggia antica spagnoleggiante, e una volta incrociato lo sguardo del filosofo, si viene proiettati ai suoi funerali. Gli sventurati si trovano a portarne sulle spalle la bara, dalla sua dimora in via Toledo fino alla chiesa di San Lorenzo Maggiore dove tutt’ora è sepolto, seguiti dal corteo di nobili e frati incappucciati che muniti di fiaccole intonano litanie funebri. Tornati alla realtà, lo spettro svanisce lentamente scendendo le scale dell’edificio, mentre lo sfortunato incontro lascia un’angoscia e un senso di vuoto nel malcapitato.

Due palazzi con due ricordi dolorosi che permangono nelle mura, e che si materializzano tra visioni e sentori, in cui il ricordo di due personaggi illustri della storia napoletana, seppur non più presenti nella realtà restano ‘vivi’ nei meandri della fantasia esoterica popolare.

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