Sembra sempre più evidente che le pandemie sviluppatesi nel corso degli anni abbiano una radice comune: il contatto con animali. Gli studi sempre più approfonditi sul rapporto deformato tra natura uomo e animali stanno conducendo all’affermazione che il mancato rispetto della natura, il rapporto sbagliato tra questi tre fattori in gioco genera, o meglio, scatena reazioni pandemiche fuori dal comune.

Da diversi anni, purtroppo, stiamo assistendo a disboscamenti, sversamenti nei fiumi e nei mari di ogni tipo di residuo, tossico o comunque inquinante. Restiamo inerti di fronte alla corsa sconsiderata del produrre senza tener conto degli scarti che deturpano, stravolgono l’intero ecosistema. Una natura depredata, che riduce sempre di più la distanza tra l’uomo e gli animali selvatici, è uno dei fattori che ha facilitato la diffusione di epidemie su scala globale. Dall’università di Stanford i ricercatori hanno spiegato come i virus che passano dagli animali all’uomo (spillover) saranno sempre più comuni fin quando l’uomo continuerà a trasformare gli habitat naturali in terreni agricoli. La loro analisi, partita in Uganda, mostra come la perdita di foresta tropicale abbia messo le persone più a rischio di interazione fisica con i primati selvatici e i loro virus. Laura Bloomfield, studiosa a capo di tali indagini spiega: “La combinazione di grandi cambiamenti ambientali, come la deforestazione, e la povertà possono scatenare una pandemia globale”.

Il Papa nell’enciclica “Laudato si” già un po’ di tempo fa aveva sottolineato quanto fosse importante prendere cura della terra, del mare, della natura tutta, evidenziando quanto fosse legato il degrado umano a quello ecologico.

E pensare che l’uomo finora ha convertito circa la metà del suolo terrestre in terreno agricolo. Ciò che rimane, fuori dai parchi e riserve protette, sono piccole isole in un mare di terreni agricoli e aree dove le coltivazioni penetrano nelle foreste. In Uganda, per esempio, questa situazione ha portato moltissime persone a concentrarsi al bordo delle foreste, aumentando la condivisione degli spazi e lotta per lo stesso cibo con i primati. Cosa che aumenta la possibilità di trasmissioni di malattie dagli animali all’uomo, come accaduto per l’Hiv. Il secondo studio è dell’università della California di Davis: qui i ricercatori spiegano come lo sfruttamento della natura con la caccia, i commerci, la degradazione degli habitat e l’urbanizzazione non solo portino al declino ed estinzione degli animali, ma anche all’aumento del rischio di spillover dei virus. In particolare ci sono tre gruppi di mammiferi portatori di virus più a rischio di spillover: le specie addomesticate, i primati e i pipistrelli.

A causa dell’intensificarsi degli scambi commerciali di animali e prodotti di origine animale tra i vari paesi, attualmente queste malattie acquistano importanza sempre crescente; inoltre il pericolo di diffusione è ulteriormente aggravato dall’aumento degli animali domestici in ambiente urbano.

Le zoonosi possono diffondersi da un animale all’altro e dagli animali all’uomo, mentre di solito non si trasmettono da uomo a uomo; perciò l’uomo si ammala soltanto attraverso gli animali.

«Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale». Questa ecologia integrale «è inseparabile dalla nozione di bene comune».

Il Papa ha già più volte denunciato la «debolezza delle reazioni» di fronte ai drammi di tante persone e popolazioni. Nonostante non manchino esempi positivi c’è «un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità». Mancano una cultura adeguata e la disponibilità a cambiare stili di vita, produzione e consumo. Finché prevarranno gli interessi economici su un rispetto dell’ambiente, finché il disinteresse ambientale genererà tali sordità ecologiche continueremo ad avere, in maniera sempre più frequente, mutazioni ecologiche e, inevitabilmente, conseguenze nefaste su tutto il sistema umano-planetario.

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