Dopo diversi anni trascorsi in carcere, e una detenzione domiciliare iniziata nel giugno 2014, Annamaria Franzoni può riprendere la propria vita; questo dopo gli eventi che hanno portato all’omicidio di suo figlio Samuele, il 30 gennaio 2002.

Condannata in origine a 16 anni di carcere dalla Corte di Cassazione, che aveva confermato la sentenza della Corte di appello di Torino, ne ha scontati 11 usufruendo di un indulto di 3 anni e di vari giorni di liberazione anticipata, grazie alla buona condotta.

Tale beneficio, ottenuto con il lavoro esterno in una coop sociale, viene spesso utilizzato per permettere ai detenuti di partecipare percorsi di rieducazione e reinserimento nella società, facendo ottenere loro fino a 45 giorni per ogni semestre di detenzione, compresa anche quella domiciliare.

Ora, per la Franzoni inizia una “nuova vita”, nel tentativo di andare avanti, in una località segreta e in una casa isolata, allo scopo di riprendere un’esistenza che possa avere un minimo di parvenza di normalità.

Ma il delitto di Cogne, dopo 17 anni, mostra ancora alcune zone d’ombra, che portano a porsi, volenti o meno, delle domande su quello che è accaduto la notte in cui il piccolo Samuele ha visto la sua giovane vita stroncata.

Gli indizi con i quali sua madre è stata condannata – il sangue sul pigiama, le macchie sugli zoccoli, gli otto minuti passati fuori casa per accompagnare l’altro figlio – sono stati prima dichiarati insufficienti e poi riammessi, come a cercare qualcosa per incastrarla.

Il presunto accanimento mediatico, legato al suo continuare a dichiararsi innocente durante tutte le fasi del processo, che l’ha vista condannata prima a 30 anni e poi a 16, forse ha influenzato parte dell’opinione pubblica che già la considerava colpevole prima della sentenza.

L’ipotesi più credibile è che, se davvero Annamaria ha ucciso suo figlio in preda a un potenziale raptus, la sua mente potrebbe aver rimosso tale ricordo, seppellendolo o cancellandolo del tutto, lasciando solo dettagli sbiaditi.

Con l’ipnosi, o con qualche altro metodo, sarebbe possibile appurare la verità; ma farlo, ora o in futuro, servirebbe solo a riaprire una storia dolorosa che ha lasciato ferite difficili da chiudere.

A volte, è meglio rimanere nel dubbio, se non si è in grado di accettare la verità.

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