Tramite un reportage di Reuters, negli ultimi tempi, è emersa una realtà alquanto sconvolgente: il processo di riduzione dell’uso della plastica – con un minor ricorso all’usa e getta, scegliendo opzioni come quella del vuoto a rendere, smettere di usare prodotti ricchi di imballaggi ed effettuare una corretta raccolta differenziata – è fallito per via del Covid 19.

Le cause di questa “sconfitta ecologica” vanno ricercate nella sempre maggior richiesta di visiere, guanti usa e getta, contenitori per alimenti da asporto, insieme alla diminuzione delle attività di riciclo – stimate in oltre il 20% in Europa, del 50% in e del 60% in alcune aziende negli Stati Uniti – intensificata dalla guerra di prezzi tra plastica riciclata e nuova, prodotta dall’industria petrolifera.

In parole povere, finisce per costare meno produrre nuova plastica che riciclare la vecchia, danneggiando i riciclatori – che dipendono dai sussidi statali, spesso inesistenti o insufficienti – oltre al fatto che la “nuova plastica” costa la metà del prezzo di quella riciclata.

Con la pandemia in atto, la guerra ai rifiuti di plastica monouso ha subito una terribile batosta, accentuando la tendenza a produrre più spazzatura, e neutralizzando le azioni dei politici dei paesi che avevano deciso di combattere quella che è una minaccia ambientale sempre più grave.

In più, gli investimenti per ridurne la produzione sono una frazione di quelli destinati alla produzione di nuovi materiali plastici, conducendo il pianeta ad annegare letteralmente in essa, dato che le infrastrutture di riciclaggio e gestione dei rifiuti non potranno mai essere attrezzati per gestire volumi sempre più maggiori.

Se si riuscirà a sopravvivere al Covid-19, ci attenderà una sfida per una seconda sopravvivenza, e non è detto che si riesca a vincere.

 

 

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